Con le manette di Mourinho viene messo in gabbia anche il buon senso

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Con le manette di Mourinho viene messo in gabbia anche il buon senso

23 Febbraio 2010

In un lunedì post-campionato come tanti altri è stata presa una decisione – in verità parecchio diversa da tante altre – che sicuramente cambierà il resto della stagione e, si spera, l’attitudine verso un uomo a cui è stata lasciata molta libertà.  L’allenatore dell’Inter, Josè Mourinho, dopo la gara tra Inter e Sampdoria giocata sabato, è stato squalificato per 3 giornate dal giudice sportivo “per aver contestato le decisioni arbitrali con atteggiamenti plateali”, tra i quali il gesto delle manette. Al tecnico portoghese è stata anche inflitta una multa di 40mila euro.

Che di educazione e rispetto nel calcio moderno si difetti parecchio è storia nota ma il portoghese stavolta ha veramente passato il segno. Non tanto per il gesto in sé, quanto per la forma mentis, tanto in voga negli ultimi anni, secondo cui ogni gesto è giustificato se alla base c’è un presunto torto subito, vero o inventato che sia.

“Un gesto male interpretato”. Questa la posizione del diretto interessato, riportata al suo portavoce, Eladio Parames. “Non aveva nulla a che vedere con l’arbitro – ha raccontato Parames – Voleva dire una cosa diversa: ‘Potete anche portarmi via, arrestarmi, ma tanto la mia squadra è forte e vince lo stesso, anche se giochiamo in nove’”. Non siamo esperti del linguaggio dei segni, ma immaginare che una X formata dai 2 avambracci possa avere un significato così articolato è uno schiaffo in piena faccia per tutti quelli che seguono lo sport più bello del mondo.

D’altra parte, il lusitano non è nuovo a questi exploit. Da quando è in Italia Mourinho e la giustizia sportiva sono spessi andati a braccetto. In totale (in soli 18 mesi, dall’estate 2008) lo Special One ha collezionato 3 espulsioni (di cui 2 da Orsato), diversi deferimenti e decine di migliaia di euro di ammende. Ultimo episodio, il derby del 24 gennaio scorso quando l’allenatore dell’Inter, insieme con l’amministratore delegato nerazzurro Ernesto Paolillo fu deferito per i dubbi espressi sulla regolarità del campionato.

L’anno scorso Mou venne espulso proprio il giorno prima del suo compleanno, nella partita contro la Sampdoria quando disse qualche parola di troppo all’arbitro dopo un intervento su Stankovic. Nel dopopartita spiegò che l’arbitro “aveva paura di fischiare per noi”. Il 15 marzo altra espulsione, sempre per proteste. Allora lo fece – chiarì – per difendere il “pupillo” Santon: per quelle intemperanze però evitò la squalifica e rimediò un’ammenda di 10mila euro con diffida. L’ultima squalifica il 21 settembre dello scorso anno: il giudice sportivo dopo Cagliari-Inter squalificò per un turno lo Special One (oltre a un’ammenda di 15mila euro) per “aver contestato platealmente una decisione arbitrale e indirizzato reiteratamente pesanti insulti” ancora a Orsato.

Mourinho, non pago di prendersela solo con gli arbitri, fu deferito anche dopo essere finito sotto indagine dalla Figc per le offese rivolte al giornalista del Corriere dello Sport Andrea Ramazzotti in occasione della partita di Bergamo con l’Atalanta. Per non smentirsi liquidò la faccenda con una battuta delle sue, sostenendo che: “mi aspetto da Ramazzotti un regalo di Natale perché fino a oggi il Ramazzotti più famoso era Eros e adesso è Andrea”. Il tecnico ha poi patteggiato pagando 13mila euro di multa.

Ma non è tutto qui. Per mantenere alto l’interesse verso il suo personaggio è riuscito a litigare con quasi tutti i suoi colleghi. Memorabili in particolare le vicende a legate all’ex allenatore del Siena Mario Beretta, chiamato Barnetta dal novello Emilio Fede, pronto a storpiare il nome del rivale per denigrarlo e l’accusa rivolta a Claudio Ranieri – attuale coach della Roma – reo di essere troppo fermo sulle sue idee perché 70enne e poco elastico di mente.

Oltretutto, al “fenomeno” portoghese vengono perdonate molte cose sul piano comportamentale perché simpatico ed estremamente comunicativo. Diversi slogan (veri e proprio spot) sono stati partoriti dalla sua mente già dalla prima apparizione sul suolo italiano. Non era ancora iniziato il campionato 2008-2009 che il portoghese in conferenza stampa si presentò con un “non sono un pirla”. Anche chi non segue lo sport ricorda poi “zero tituli”, tormentone dello scorso anno solare, riferito a tutte le altre squadre di vertice che a fine anno sarebbero finite appunto con “zero tituli” in bacheca.

Insomma, questo moderno Giamburrasca è sempre al centro dell’attenzione ed è visto con occhi diversi a seconda di chi lo osserva. Adorato dai suoi tifosi, sopportato dai vertici di federazione e lega calcio e rispettato dai colleghi. In una parola chiacchierato, un professionista del marketing a tutto tondo. La domanda da farsi è quindi la seguente: vale la pena assumere l’allenatore più pagato (e polemico) al mondo per vincere e far parlare di sé oppure basterebbe assumerne uno bravo e basta?

Difficile rispondere e ancor più difficile capire se il tira e molla messo in atto con tutto l’ambiente dal signor M. alla fine dei conti sia positivo o no. Sicuramente ha alzato l’interesse verso la Serie A, ma sull’altare sono stati sacrificati valori che dovrebbero essere parte integrante dello sport, lealtà e onore.

Si può obbiettare che l’unico a cui debba render conto Mourinho sia il suo presidente, quindi lasciamo l’ultima parola a Massimo Moratti, che gli paga lo stipendio e ha tutto il diritto di esprimere il suo parere. Nella mattinata di ieri il patron dei nerazzurri ha celebrato il primo anniversario della scomparsa dell’ex direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò.

“Mi avrebbe chiamato e, con la scusa di chiedermi qualcosa per il suo nuovo libro, mi avrebbe domandato di Mourinho”, ha sorriso Moratti, abituato a ricevere “consigli pubblici” dal giornalista siciliano: “In questi giorni mi avrebbe bacchettato, perchè non avrebbe capito le esibizioni di qualcuno all’interno della mia squadra”. Amen.