Con l’epurazione della Mauro la Lega mostra il peggio di sé

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Con l’epurazione della Mauro la Lega mostra il peggio di sé

12 Aprile 2012

Donna, strega, terrona. Sul rogo, tra le fiamme purificatrici e i colpi di ramazza. Politica anzitutto e a prescindere. Il tiro al bersaglio è più facile se si individua un capro espiatorio – ancor meglio se femmina – da identificare con il male assoluto e attraverso l’epurazione rifarsi il look, lavarsi la faccia, mondarsi da ogni peccato. Rosy Mauro da Brindisi, fuori dalla Lega. La colpa? Aver disobbedito all’ordine del partito. Perché, come sentenzia Matteo Salvini “la Lega ha regole che vanno rispettate”, o come ha profetizzato Roberto Maroni con ramazza in pugno, sul palco dell’orgoglio padano di Bergamo: se uno non si dimette dopochè il partito glielo chiede, allora è il partito che lo dimette. O come ha ripetuto ieri durante il consiglio federale: o lei o me. In altre parole: si minacciano dimissioni per imporre quelle della nemica di sempre, quella del ‘cerchio magico’.

In tutto questo psico-dramma viene da domandarsi: fino a che punto la voglia di pulizia ha a che fare con le inchieste sul Carroccio e non, piuttosto, con la corsa alla leadership del partito? Da Bergamo prima e dal consiglio federale poi, l’ex ministro dell’Interno esce vincitore, la sua linea dura è passata, Bossi non ha potuto far altro che ratificarla. E a questo punto poco importa se sia vero o no il fatto che quando si è trattato di mettere ai voti l’espulsione di Rosy Mauro, il Senatur e Reguzzoni (altro cerchista, ex capogruppo alla Camera finito già nel ‘fuori-uno’ dei maroniani), abbiano lasciato la stanza dove di lì’ a poco si sarebbe pronunciata la condanna. Semmai, rafforza il sospetto che sia stata decisa ben prima.

Il capo ha chinato il capo. Il no della ‘strega’ al passo indietro è la ragione che nel comunicato stampa del ‘parlamentino’ leghista si adduce alla base di un provvedimento tanto grave e definitivo. Ma a fronte di cosa? In nome di cosa? Si punta il dito sui duecentomila euro che dalle casse del Carroccio sarebbero stati destinati a quelle del sindacato padano (Sin-pa) di cui la vicepresidente del Senato fino a ieri era la leader. Lei stessa, a Porta a Porta, ha parlato di una donazione che il partito faceva alla ‘costola’ sindacale, ma ha fermamente smentito di aver preso per sé un euro. Almeno per ora, nessuno sa come questo danaro sia stato speso. Lo accerteranno le indagini, che ovviamente devono fare luce – prima è, meglio è – su tutta la vicenda nella quale, ad oggi, risulta indagato solo l’ex tesoriere Francesco Belsito. Non Rosy Mauro, non Renzo Bossi, non Umberto Bossi o la moglie, non altri e alti dirigenti del movimento. Ma allora perché senza tante esitazioni si brucia sul rogo ‘la strega’ e sul figlio del capo che, dicono le carte dell’inchiesta, si sarebbe fatto pagare le multe (anche tre in un giorno solo) o le lauree coi soldi del partito si motiva che il suo caso non era all’ordine del giorno del consiglio federale? Aspettiamo il prossimo, allora.

Bè, gonfiano il petto i lumbard,  il Trota si è già dimesso e prima di lui si è dimesso perfino il leader indiscusso, Umberto Bossi, vuoi che non debba dimettersi una dirigente, per di più sollecitata a farlo per ragioni di opportunità politica dal partito intero? Se questo è vero, perché lo stesso trattamento non è stato riservato a Davide Boni, presidente del consiglio regionale lombardo finito sott’inchiesta? E perché – coerenza per coerenza – Maroni&C. non invocano le dimissioni pure di Roberto Calderoli, uno dei triumviri, tirato in ballo da un’intercettazione telefonica al vaglio dei pm di Milano, tra l’ex responsabile amministrativa di via Bellerio Nadia Degrada e l’ex tesoriere Belsito in cui l’ex ministro sarebbe descritto come uno dei ‘destinatari di somme di denaro’ che i pm sospettano ‘non essere state utilizzate per le finalità del partito’?

Se basta un nome e un cognome sulle carte di una procura che comunque dovranno essere supportate da riscontri oggettivi, per scatenare la ‘pulizia’, non si capisce perché le ramazze vengano imbracciate solo per alcuni e non per tutti. E se la Lega, come lo stesso Salvini ha ribadito con orgoglio a ‘Piazza Pulita’ su La7, è l’unico partito coerente fino in fondo in cui i politici hanno il coraggio di fare un passo indietro (e di questo va dato atto), sarebbe auspicabile che con altrettanta coerenza applicasse le regole senza guardare in faccia nessuno.

Invece, Rosy Mauro quei ‘giudici’ con già in mano la condanna li ha guardati in faccia uno ad uno, difendendosi. Da sola e fino in fondo. Ha ribadito l’estraneità ai fatti, senza cedere di un millimetro. Poi a verdetto votato, chiosa così: “Il rancore ha prevalso sulla verità. La mia epurazione era già scritta”. Affida a una nota il commento più politico sull’ultimo giorno da militante leghista: “Se qualcuno è arrivato al punto di minacciare le dimissioni se non si fossero presi provvedimenti contro di me, vuol dire che la presunta unanimità è stata imposta con un ricatto politico. Non ho voluto fare retromarcia per un semplice motivo: non vedo chiarezza in tutta questa storia”. Dice si essere delusa “nel vedere trasformare la Lega che ho conosciuto dall’87” e attacca a testa bassa: “Hanno voluto un capo espiatorio e quello sono io. In vent’anni di Lega la mia storia parla per me e non ho bisogno di dimostrare niente”. Non ha ancora deciso cosa fare sull’incarico di vicepresidente del Senato – “un passo alla volta” – ma c’è da ritenere che darà battaglia.

C’è infine un’altra cosa che colpisce nel giorno del redde rationem: il silenzio delle donne leghiste. Non una parola per commentare l’espulsione della Mauro. ‘No comment’ è la frase di rito rifilata dagli addetti stampa di una deputata e da una senatrice che abbiamo provato a contattare telefonicamente. Silenzi imbarazzati e imbarazzanti, come se la decisione presa fosse un dogma e come tale, inconfutabile.    

Rosy Mauro lascia il quartier generale di via Bellerio accompagnata dal poliziotto sul quale in questi giorni si è gossippato di tutto: dal flirt all’incarico della scorta voluto dalla Mauro e da lei smentito. Nessuna pietà per la ‘strega’, nemmeno sul piano personale. Al rogo, al rogo.

Il capo ha chinato il capo alla ragion di partito. E di congresso (anticipato al 30 giugno). Anche in questo caso e al netto delle regole padane, col finale già scritto.