Con l’Europa a due velocità Cameron scommette di fatto sulla fine dell’euro

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Con l’Europa a due velocità Cameron scommette di fatto sulla fine dell’euro

09 Dicembre 2011

di E.F.

Ancora una volta hanno vinto loro, Francia e Germania. Si è appena concluso il Consiglio europeo di Bruxelles e ciò che ne viene fuori è la vittoria della linea dettata dalla coppia Merkel-Sarkozy. Sul fronte opposto, la perfida Albione, il governo inglese di David Cameron, che proprio non ci sta a farsi dettare l’agenda da Parigi e Berlino. Delusione per quelli che speravano (forse vanamente) che quegli incontri del neo-primo ministro Mario Monti in pre-vertice proprio con il premier britannico e con il premier polacco potessero essere sintomi di una manovra di Roma di creare una coalizione d’argine al diktat franco-tedesco.

Non è andata così. Il governo italiano si è comportato “bene”: ha preso nota e ha lasciato che l’unico italiano che avesse qualcosa da dire fosse Mario Draghi, dallo scorso primo Novembre governatore della Banca centrale europea, che non solo ha tagliato in pre-vertice di un quarto di punto dei tassi d’interesse dell’euro, ma che da tutto quello che è accaduto tra l’8 Dicembre e il 9 Dicembre esce addirittura con più potere. Ma andiamo per ordine.

La proposta franco-tedesca, le cui linee direttrici erano state annunciate con la solita lettera al ‘buon’ Van Rompuy, prevedeva l’introduzione di un’unione fiscale stretta a tutta l’Unione Europea (e non l’Unione monetaria europea) da farsi con una modifica dei trattati dell’UE.

Per la coppia franco-tedesca si trattava d’introdurre delle modifiche per rendere operativo al più presto il Meccanismo europeo di Stabilità (Mef); creare delle sanzioni semi-automatiche per i paesi dell’Unione Europea che da ora innanzi sforassero i parametri europei in materia di bilancio pubblico; l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (una rediviva Tobin tax); infine la creazione di meccanismi di decisione più confacenti alle necessità d’urgenza nell’assunzione delle decisioni (la ‘super maggioranza’ dell’85% del capitale conferito alla Bce dalla banche centrali dei rispettivi paesi).

Nel merito e nel metodo, queste posizioni sono state rifiutate da Londra. Che la Gran Bretagna di Cameron non fosse disponibile a perseguire la via della revisione dei trattati lo si era capito da tempo, e qualora l’avesse accettata, l’avrebbe barattata per una ri-nazionalizzazione di alcune competenze ad esempio il lavoro (queste le indiscrezioni che circolavano dopo i colloqui che David Cameron ebbe sul finire d’Ottobre con l’ex-premier conservatore John Major proprio in preparazione di un assalto franco-tedesco).

In un Consiglio europeo le cui negoziazioni sono durate più di dieci ore, la Gran Bretagna ha fatto “il gran rifiuto”, ponendo il veto alla proposta di modifica dei trattati dell’UE inizialmente assieme al premier conservatore ungherese Viktor Orban (oltre ai governi della Repubblica Ceca e Svezia privi di mandato parlamentare). L’ungherese è poi nella giornata del 9 Dicembre tornato sui suoi passi – probabilmente una mossa per prendere tempo – accettando il risultato del vertice: la nascita di un nuovo trattato. E’ questa l’Europa a due velocità.

Avendo la Gran Bretagna bloccato la modifica dei tratti dell’UE, Francia e Germania hanno allora proposto la creazione di un nuovo trattato – a cui aderirebbero i 17 membri della zona euro più sei paesi dentro l’UE ma ancora fuori dall’euro e già risoprannominati i "volenterosi" – che di fatto impone ai paesi firmatari il pareggio di bilancio (chiamato nella dichiarazione finale “patto di bilancio”), sanzioni automatiche per coloro che sforano il 3% del deficit annuo con maggiori poteri per la commissione la quale potrà stilare un parere qualora il bilancio presentato da un paese sarà non conforme con le ‘buone prassi’ imposte da Berlino e sarà maggiormente coordinata la politica economica dei paesi membri.

Per quel che riguarda il succitato Mef, sarà direttamente gestito dalla Bce e diverrà l’anello di congiunzione tra il Fmi guidato dalla protegée di Nicolas Sarkozy, Christine Lagarde, e i paesi bisognosi di erogazione da parte del Fondo di Washington.

Quanto all’Italia retta da Napolitano e Monti, per sè solo un ruolo nel coro. Interessante il punto 16 della dichiarazione che recita: “Accogliamo con favore le misure adottate dall’Italia; ci compiacciamo inoltre dell’impegno assunto dal nuovo governo greco, sostenuto da tutti i partiti, di attuare pienamente il suo programma, nonché dei significativi progressi compiuti da Irlanda e Portogallo nell’attuazione dei rispettivi programmi”. “Prima!”, bravi (come dicono in Germania) i Monti e i Papademos del Sud. Avete fatto bene i compiti.

Come non capire la fiera Gran Bretagna, schiacciata e scientemente isolata dalla coppia franco-tedesca. Cameron aveva chiesto l’esenzione dalla tassa sulle transazioni finanziarie (la City di Londra è un asset strategico d’indotto per il Regno Unito) senza ottenerla da Sarkozy – è già in campagna elettorale il piccoletto e temeva che il socialista François Hollande gli avrebbe sottratto lo scettro del fustiga-finanzieri – il quale si è persino concesso la scortesia di non stringere la mano al primo ministro britannico durante una delle riunioni a porte aperte del 9 Dicembre.

Se il premier inglese avrà avuto ragione lo sapremo presto. Basterà sincerarsi se l’euro da un anno a questa parte esisterà ancora. Postilla: sarebbe interessante studiare l’andamento degli spread in base alle dichiarazioni del presidente Nicolas Sarkozy. Ieri catastrofismo sarkozista: spread su e borse a picco. Dopo l’accordo a 23, spread giù e borse su. Qualcuno chieda alla Francia dove si trova la manovella di Lady Spread, prego!