Con l’omicidio Taseer anche l’Islam scopre i “giusti fra i musulmani”

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Con l’omicidio Taseer anche l’Islam scopre i “giusti fra i musulmani”

13 Gennaio 2011

Dopo la Seconda guerra mondiale, il termine "Giusti tra le nazioni" è stato utilizzato per indicare i non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare la vita anche di un solo ebreo dal genocidio nazista conosciuto come Shoah. Ebbene la barbara uccisione di Salman Taseer, governatore della provincia pakistana del Punjab, perché aveva appoggiato la campagna per l’abolizione della legge sulla blasfemia e si era battuto per la liberazione di Asia Bibi, la cristiana condannata a morte, dovrebbe farci riflettere e forse portarci a estendere la definizione di Giusti tra le nazioni a tutte quelle persone che aiutano, mettendo a repentaglio la propria vita, l’Altro a prescindere dal suo credo religioso.

Il caso del governatore del Punjab è emblematico e ci obbliga anche a un’ulteriore riflessione che riguarda le leggi sulla blasfemia non solo in Pakistan, ma nell’intero mondo islamico, che colpiscono non solo le minoranze religiose, ma anche e soprattutto i musulmani stessi.

Le parole del Pontefice Benedetto XVI vanno sicuramente in questa direzione: "Incoraggio di nuovo le Autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del Governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione".

Tuttavia non sarà così facile abolire o riformare la legge sulla blasfemia né in Pakistan né in altri paesi islamici. In Pakistan è stata introdotta nel 1986, prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di morte in caso di offesa a Maometto. Corrisponde in linea di massima all’articolo 295 b e c del Codice penale pakistano che tratta delle offese alla religione e al Corano, punibili con l’ergastolo, mentre il secondo stabilisce la morte o il carcere a vita per diffamazioni contro il profeta Maometto.

L’articolo 298 a proibisce qualsiasi commento o rappresentazione denigratori nei confronti dei personaggi sacri musulmani, quali le mogli del Profeta, la famiglia del Profeta e i primi quattro califfi dell’islam.

Nonostante il 26 ottobre 2004 per evitare abusi il parlamento aveva stabilito che la polizia deve accertare il fatto, prima di richiedere il fermo dell’imputato, in realta’ la polizia agisce ancora in modo arbitrario. Il caso di Asia Bibi lo dimostra. Nel giugno 2009 la Bibi, una lavoratrice agricola, si reca a prendere dell’acqua e un gruppo di donne musulmane la respinge sostenendo che lei, in quanto cristiana, non avrebbe dovuto toccare il recipiente. In seguito, la donne si rivolgono alle autorità sostenendo che Asia nella discussione avrebbe offeso il profeta Maometto.

Nonostante la Commissione pakistana sulla condizione delle donne, costituita nel 2000 per rimuovere le discriminazioni di genere, abbia chiesta l’immediata liberazione di Asia Bibi in quanto è illegittimo richiedere a una donna cristiana di aderire ai principi dell’islam, la situazione rimane invariata.
Salman Taseer aveva definito la legge sulla blasfemia la “legge nera”, ma a mio parere la definizione sarebbe più adeguata a definire la costituzione pakistana e la costituzione di molti altri paesi islamici.

In base alla costituzione, il nome ufficiale del Pakistan è la "Repubblica islamica del Pakistan" (art. 1). Sempre in base alla Costituzione (art. 2), l’islam è la religione di stato, il tutto viene ribadito dall’articolo 31 in cui si legge “che verranno prese misure al fine di consentire ai musulmani del Pakistan, individualmente e collettivamente, di organizzare le loro vite in base ai principi fondamentali e i concetti basilari dell’islam e di provvedere a fare sì che possano essere aiutati a comprendere il significato della vita in base al Corano e alla Sunna.”

Ed è proprio nella Costituzione che risiede la soluzione e, al contempo l’impossibilità di una soluzione al problema. In Egitto, in Giordania, in Kuwait, per non parlare di Arabia Saudita e Iran. In Egitto, teatro degli attacchi ai copti, nel 1971 la Corte suprema costituzionale ha approvato una legge in cui si affermava che “l’islam è la religione di Stato e che qualsiasi legge contraria all’islam è contraria alla costituzione”. Sebbene non esista alcuna legge che riguardi l’apostasia oppure il trattamento dei cristiani come sottomessi, a partire dal 1981 l’emendamento dell’articolo 2 della Costituzione egiziana ha fatto sì che la sharia passasse dall’essere “una delle fonti principali della legislazione” all’essere “la principale fonte della legislazione”.

Anche nella moderata Giordania nonostante la Costituzione del Regno hascemita di Giordania affermi all’articolo 14 che “lo Stato salvaguarderà il libero esercizio di tutte le forme di culto e riti religiosi in sintonia con le tradizioni osservate nel Regno, a meno che ciò contravvenga con l’ordine pubblico e la moralità” e all’articolo 15 che “lo Stato garantirà la libertà d’opinione. Ogni cittadino giordano sarà libero di esprimere la sua opinione in discorsi, scritti o per mezzo di rappresentazioni fotografiche e altre forme di espressione, ammesso che ciò non violi la legge; la libertà di stampa e pubblicazione sarà assicurata entro i limiti della legge; i giornali non saranno sospesi dalla pubblicazione né i loro permessi revocati se non in accordo con quanto previsto dalla legge; in caso di dichiarazione di legge marziale o di stato d’emergenza, può essere imposta per legge una censura limitata su giornali, pubblicazioni, libri e trasmissioni televisive su questioni che toccano la sicurezza pubblica e la difesa personale; il controllo delle risorse dei giornali sarà regolato per legge.”

Al contempo l’articolo 37 della legge giordana sulla stampa parla chiaro e limita notevolmente la libertà d’espressione nel paese: “È proibita la pubblicazione in qualsiasi forma di qualsiasi cosa che offenda od oltraggi una delle religioni e denominazioni la cui libertà è sancita dalla costituzione”. Ne consegue che laddove l’islam regoli la legislazione la discriminazione nei confronti dell’Altro, inteso come cristiano o come musulmano che osa criticare l’interpretazione estremista e letterale del Corano, è possibile.

Sagge e coraggiose le parole di Ejaz Ahmad, direttore della rivista in lingua urdu in Italia ‘Azad’,quando afferma che "il governo pakistano potrebbe anche accogliere questo appello del Papa, ma il problema vero è un altro. Senza i voti dei partiti islamici non avrà mai una maggioranza in parlamento per poterla abrogare". Ahmad mette il dito nella piaga. Oggigiorno ogni governo nel mondo islamico deve scendere a patti con l’estremismo islamico rendendo quindi impossibile ogni riforma costituzionale e non che voglia limitare l’ingerenza dell’islam nella cosa pubblica.

Ejaz Ahmad ribadisce una triste verità , che non vale solo per il Pakistan: "Purtroppo questa legge viene usata per arrestare tutte le voci fuori dal coro, dai cristiani agli intellettuali di sinistra il vero problema è che il fondamentalismo avanza sempre di più nel paese e questo mette in pericolo il futuro del Pakistan e rende impossibile l’abolizione di questa legge”.

Ebbene è un pakistano, un musulmano che vive nel nostro paese che denuncia l’abuso del ricorso alla religione per discriminare cristiani, ebrei, musulmani liberali. E’ stato un pakistano, un musulmano a perdere la vita dopo avere sostenuto una cristiana condannata a morte. Credo che sia giunto il momento di rendere onore ai Giusti tra i musulmani, di unirci a loro nella loro lotta contro l’estremismo islamico, una lotta senza se e senza ma. Credo che sia giunto il momento per le istituzioni e i governi occidentali, per l’Unione europea, per la Santa Sede di aprire gli occhi e di evitare i dialoghi “di Assisi” e con le “associazioni islamiche”.

Credo sia giunto il momento di parlare di diritti fondamentali e universali dell’uomo che vanno promossi senza esitazione in modo da non dovere più piangere né stragi di copti in Egitto, di cristiani in Iraq e altrove nel mondo islamico, né la morte di persone coraggiose come Salman Taseer.