Con quei 500 mld di euro alle banche la Bce alla fine ha fatto come la Fed
22 Dicembre 2011
di E.F.
Lo avevamo detto noi dell’Occidentale che l’8 Dicembre scorso, al margine di quello spettacolo infruttuoso che è stato il Consiglio europeo, era successo qualcosa di molto più importante per i destini dell’euro, dell’Unione europea e dell’economia continentale in genere: la Banca centrale europea (Bce) aveva allentato le condizioni per l’accesso ai LTRO (Long Term Rifinancing Operations), permettendo di fatto alle banche europee, in disperata crisi di liquidità, di accedere a prestiti di lungo termine a un tasso fisso dell’1%.
Ieri è stato il giorno della verità: s’è fatta l’asta alla Bce (una delle due previste) ed è stato un gran “successo”, tanto per parafrasare quello ‘sbarbatello’ del ministro del bilancio francese di Sarkozy, François Baroin. Sono stati assegnati ben 489 miliardi di euro in prestiti a tre anni (restituzione nel 2014) a ben 523 banche europee.
La cifra di 498 mld. supera di gran lunga il record precedentemente stabilito nel 2009 – in piena crisi finanziaria made in Usa – di 442 mld. di euro in prestiti alle banche. I mercati non hanno gradito particolarmente. Praticamente tutte le maggiori Borse europee hanno chiuso in negativo visto che un tale mole di banche e di denari prestati vuol dire solo una cosa: recessione.
La mossa è comunque la prima significativa epifania del nuovo corso di Mario Draghi alla testa della Bce. Alcuni broker, come riporta il Financial Times, hanno subito ribattezzato questo allentamento degli standard d’accesso ai prestiti da parte di Francoforte con la formula “shadow quantitative easing”, un quantitative easing ombra, facendo riferimento alla politica adottata dalla Fed statunitense di Ben Bernanke negli ultimi tre anni, una politica che ha permesso alla banca centrale statunitense di acquistare i titoli tossici sul mercato.
La mossa di Draghi è de facto un compromesso al rialzo tra i vari partiti che si scontrano a livello europeo. Da una parte c’è il gruppo che vorrebbe la Bce quale prestatore d’ultima istanza. Un posizione capitanata silenziosamente dalla Francia.
Una visione quella di Parigi che si scontra però con la rigidità tedesca tesa a far sì che i paesi molto indebitati non se la cavino con l’inflazione e prendano invece per le corna il nodo deficit, debito e più in generale il rigore dei nonti pubblici (sull’esemplarità e la trasparenza del debito della Germania ha avuto da eccepire anche il noto giornale vicino alla confindustria tedesca, l’Handelsblatt con un titolo qualche mese fa "La verità", alludendo a cifre ben più alte di debito pubblico).
Per questo Francoforte – salvo sporadici acquisti di titoli greci, spagnoli e italiani sui mercati secondari – non si è messa a comprare a più non posso quando rendimenti su titoli a breve e lunga scadenza, così come lo spread col Bund tedesco, schizzavano al rialzo. Giorgio La Malfa, deputato alla Camera per il Pri, lo aveva a l’Occidentale detto poco prima che Draghi andasse a guidare la Bce: “Vedrete, sarà obbligato a essere più tedesco dei tedeschi”.
Prestando così tanto denaro alle banche e condizioni così lasche, Mario Draghi sembrerebbe voler ovviare a due problemi: da una parte il problema politico di non apparire troppo vicino alle posizioni tedesche in materia di ruolo e indipendenza della Bce, una linea quella di Berlino non particolarmente pop di questi tempi in Europa. Ma soprattutto l’italiano si rende conto che il mix crisi fiscale – austerità – nuove tasse, il tutto interagente con una recessione, può essere fatale per l’Europa.
Secondo il Financial Times, l’apertura del cordone della borsa da parte della Bce ha di fatto come obiettivo lo scongiuramento della possibilità di una crisi maggiore del settore bancario, in una fase in cui le banche europee hanno la pancia piena di titoli di debito europeo, con un’economia reale che sta per entrare in recessione. La seconda in 3 anni.
Tra le 523 banche che hanno avuto accesso ai prestiti della Bce, c’è anche la banca italiana Intesa San Paolo. La banca avrebbe contratto un ammontare pari a 12 mld. di euro per, si legge in un comunicato dell’istituto milanese, "ottimizzare il costo del funding" e sostituire "la raccolta wholesale a medio-lungo termine in scadenza nel 2012. A quanto dichiara Banca Intesa, l’istituto guidato fino a poco tempo fa dall’attuale ministro delle attività produttive, Corrado Passera, le attività liquide del gruppo ammontano a 83 miliardi.
C’è una certa unanimità nelle testate economiche anglosassoni sull’interpretazione da dare a una adesione del genere da parte delle banche europee: è un chiaro segnale che i mercati sono ancora deboli e che si teme fortemente la recessione che si avvicina. Ne è convinto anche Francesco Giavazzi che dalle colonne del Corriere della Sera , ieri ha affermato che l’intervento della Bce non risolverà i problemi dell’Europa la quale è sostanzialmente legato alla crescita bassa.
Per l’editorialista del quotidiano di via Soferino, il problema principale delle banche italiane è quello della sotto capitalizzazione. Secondo Giavazzi le uniche banche che potrebbero continuare ad erogare credito alle imprese in tempi di recessione, sono i piccoli istituti di credito.
Comunque vada, che abbia ragione o meno l’economista bocconiano, la Bce di Mario Draghi ha finalmente battuto un colpo e, bon gré mal gré, ha mosso la prima seria pedina per tentare di smuovere la situazione, evitando di attendere passivamente la recessione in arrivo. Speriamo solo che la moral suasion della Bce e la vigilanza delle banche centrali nazionali permettano alle imprese e alle famiglie di accedere a quel mezzo trilione che da ieri è dentro al sistema, augurandoci che non rimanga nelle pance delle banche italiane ed europee.