Con Rino Gaetano la Rai fa la cosa giusta
12 Novembre 2007
Si dice che muore giovane chi è amato dagli dei. Per una
volta una fiction Rai, quella sulla vita di Rino Gaetano che va in onda
domenica 11 e lunedì 12 novembre, riesce a dare un concetto così profondo arrivando
commuovere il telespettatore.
Così nello sceneggiato televisivo in cui Claudio Santamaria
presta anche la propria voce alle inarrivabili canzoni di quello che fu un mito
incompreso, e un grande business post mortem, per una volta si vede persino del
grande cinema.
E infatti l’opera del regista Marco Turco, in cui lavorano
anche la bellissima e bravissima Laura Chiatti e la credibile Kasia Smutniak,
ha avuto un meritato successo anche al festival della fiction che si era tenuto
a Roma la scorsa estate.
Dietro tutto si vede la mano della produzione meticolosa
della vera boss di casa Celentano, Claudia Mori che fa lavorare nella miniserie anche Rosita . Ma
nella tv pubblica di sceneggiati o miniserie di questo valore se ne vedono uno
ogni 30 anni. L’ultimo è stato il Pinocchio di Comencini con Franchi e
Ingrassia. C’è da dire che nel mondo dei fan della musica leggera italiana la
voglia di saperne di più di questa incredibile meteora della musicalità
nonsense e della lirica sbeffeggiante era enorme.
La Rai per una volta nella vita, ha fatto una cosa buona.
Condita dal fatto che Rai Trade e Sony Bmg da ieri
hanno mandato nei negozi due Cd e un DVD con 4 brani inediti di Rino Gaetano.
Per il resto la storia del
cantautore che vedremo in queste due puntate è nota solo ai suoi fan: Rino è
nato nel 1950 in una famiglia povera, il padre era il portiere di uno stabile e
lo mandò in collegio perché lui si dimenticasse la musica e scegliesse magari
un buon impiego alle poste con qualche raccomandazione da parte del ragioniere
del piano di sopra. L’Italia semplice ma squallida della democrazia cristiana
con un figlio ribelle che però non ci sta a farsi intruppare neanche nel
luogocomunismo di Lotta Continua e quindi viene un po’ accannato da tutti
almeno all’inizio. Un cane sciolto.
Che esploderà dopo il festival di
Sanremo del 1978 in cui la sua piece più celebre, “Gianna”, arriverà terza
spingendo al rialzo tutti i suoi brani più belli: “Mio fratello è figlio unico”
(ricordate? Perché “crede che Chinaglia non può giocare al Frosinone”), “Aida”,
“Nun te reggae chiu” (“Susanna Agnelli, dribbla Causio e passa a tardelli”),
“Ma il cielo è sempre più blù” (che fu il suo primo successo dopo la gavetta).
Era l’epoca dello scandalo Lockhed
e del rapimento di Moro. Gaetano morirà alla fine di quegli anni che Capanna
riteneva formidabili. Era il 2 giugno 1981, e in un incidente automobilistico
sulla via Nomentana alle 3 del mattino, Gaetano muore come l’amica di Guccini
della omonima canzone portandosi dietro un pezzo di quell’Italia che tutti
quelli della mia generazione rimpiangono perché, nel bene o nel male, era
l’Italia della nostra gioventù. Così come i nostri padri rimpiangono persino la
guerra e il fascismo per lo stesso motivo.
Nello sceneggiato si vede che Rino
Gaetano a Sanremo non ci voleva proprio andare perché all’epoca la competizione
canora ancora non era stata sdoganata a sinistra anche se i discografici, pure
quelli alternativi, mica erano scemi a dire no a Radaelli o a chi per lui. E
viene quindi fuori un bellissimo affresco di quegli anni, tra miti e
rivoluzioni. Sessuali e non.
E forse quella di Rino Gaetano era veramente
la meglio gioventù. Sicuramente più di quella che ha fatto la lotta armata,
narrata da Marco Tullio Giordana nel suo omonimo capolavoro nato anche esso per
la tv e poi dirottato al cinema per l’atavica idiozia di alcuni dirigenti Rai.