Con Sarah “Barracuda” McCain ha pescato il ticket vincente

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Con Sarah “Barracuda” McCain ha pescato il ticket vincente

02 Settembre 2008

Che soldato il vecchio Johnny! Una delle regole auree della tattica stabilisce che un modo per infliggere una sconfitta, anche in inferiorità numerica, è  quello di colpire l’ala marciante del nemico, quando questa si sta saldando al centro dello schieramento, in quello che gli ufficiali di scuola prussiana chiamavano “schwerpunkt”, punto critico. Gli assiomi militari, spesso, si possono applicare ai più disparati campi delle scienze e dell’agire sociale, come già oltre venti anni fa insegnavano alla London School of Economics.  E’ certo che per chi è militare per tradizione famigliare ed ha passato la tarda adolescenza ad Annapolis, come il senatore John McCain, questi principi appartengono al codice genetico della persona. Come dimostrano gli eventi recenti della politica statunitense essi sono più efficaci di tutte le strategie mediatiche che si studiano nelle agenzie di marketing. 

Ecco i fatti. Appena si sono spenti i riflettori del Denver’s Pepsi Center, teatro della convention del Partito democratico, mentre le sue strutture di cemento e vetro vibravano ancora per l’ovazione (d’obbligo) con la quale Barak Obama era stato designato candidato ufficiale del partito dell’asinello per le elezioni presidenziali, il competitor repubblicano, ancor prima della assemblea di partito di Minneapolis-St.Paul, presentando come candidato alla vicepresidenza il governatore dell’Alaska Sarah Palin ha tolto l’attenzione dell’opinione pubblica dal pupillo dei media, il telegenico senatore dell’Illinois. Hanno avuto un bel dire alcuni esponenti dell’entourage di Obama, criticando la figura della giovane ed inesperta donna repubblicana, ma il colpo assestato dal vecchio soldato è di quelli che fanno male. 

Come noto a tutti gli studiosi della politica americana qualunque partito, dopo la sua National Convention, assiste – grazie alla relativa e consequenziale sovraesposizione mediatica – ad una crescita di consensi presso l’opinione pubblica. Talvolta questa spinta è stata decisiva nel favorire il futuro inquilino della Casa Bianca. Così è successo a Ronald Reagan nel 1980. Così doveva essere anche dopo la convenzione di Denver. Anche se la scontata nomina di Barak Obama non aveva restituito unità ai democratici – dove una parte significativa della base che aveva sostenuto Hillary Rodham Clinton si sentiva delusa e tradita dalla scelta della maggioranza dei delegati, fino a minacciare l’astensione, se non l’appoggio al candidato repubblicano – si profilava l’inevitabile “effetto” convention, che avrebbe dato un po’ di serenità al senatore dell’Illinois che dopo essere per mesi in testa nei sondaggi stava assistendo ad una lenta ma continua rimonta di McCain che non pareva deciso a fare la vittima sacrificale.

Nel momento in cui Obama doveva capitalizzare i frutti della lunga contesa fratricida ecco il coup de théâtre repubblicano: il vecchio senatore dell’Arizona, il 29 agosto, giorno del suo settantaduesimo compleanno, annuncia di aver scelto come candidato repubblicano alla vicepresidenza la quarantaquattrenne Sarah Palin, governatore dell’Alaska, fino ad allora non considerata tra i “papabili”. Il calcolo degli strateghi del GOP era chiaro: colpire i nervi lasciati scoperti dai democratici dopo Denver.

Innanzitutto, da più parti, era sembrata troppo artificiale la candidatura di Joseph Biden alla vicepresidenza. Il senatore del Delaware pareva essere scelto in quanto vecchio manovratore di Washington ed in grado di controbilanciare il “sogno” di Obama con una massiccia dose di realismo ed esperienza. Compensava il candidato alla presidenza sia per l’età, sia per la razza. La leadership democratica, scegliendo l’esperto politico, che da candidato alle primarie aveva tacciato Obama di inesperienza, intendeva fare al corsa al “centro”, in grado sia di avvicinare l’elettorato bianco blue collar, sia, in caso di vittoria,  di controllare – in quanto presidente del Senato – le varie correnti di quella Camera. La strategia non era nuova, anzi rappresentava un classico della politica americana: compensare i punti deboli del candidato presidente, con la figura del suo vice. Il caso più noto è quello del tandem Kennedy-Johnson. Il punto debole di questa strategia è la scarsa empatia politica tra i due candidati che rischiano di andare in rotta di collisione, a meno che il vicepresidente non venga, poco a poco, emarginato (come, appunto, avvenne per Johnson). 

Con la candidatura di Biden sono state frustrate le aspirazioni (peraltro senza molte speranze) di chi sperava che fosse Hillary Clinton a dare vita ad un dream team, insieme al candidato Obama. Parte dell’elettorato femminile più sensibile ad una politica di genere, capitanato da vetero femministe come Erica Jones, che già vedevano nella vittoria di Obama una conferma della natura sessista della politica americana, hanno ritenuto la scelta di Biden un vero tradimento nei confronti di 18 milioni di elettori che avevano votato per l’ex first lady. In uno sfogo raccolto da “Panorama” Joan Lipkin, democratica e regista di St. Louis, ha apertamente denunciato che “le primarie sono state un inganno. Le donne sono state insultate e derubate del loro voto. La grande stampa è sessista”. Lo stesso intervento della Clinton a Denver – dietro la forma di un tiepido e forzato invito all’unità dietro la figura di Obama – è stato uno smarcamento della sua fazione dalla linea del partito. Alla richiesta di unità dei democratici hanno risposto a muso duro molte delle donne Puma (Party Unity, My Ass – Unità del partito vaff….).     

La scelta di “Sarah Barracuda” Palin entra come una lama nel burro delle contraddizioni democratiche. Si proceda con ordine: il governatore dell’Alaska è giovane (la sua età sommata a quella di McCain è esattamente pari a quella di Obama e Biden), così da contrastare la critica che il candidato del GOP era troppo anziano. E’ donna, così da poter pescare tra le “vedove” della senatrice Clinton, che – neanche a dirlo – ha salutato con favore la candidatura della ex vice Miss Alaska. Piace alle donne perché con i guadagni ottenuti nei concorsi di bellezza si è pagata gli studi. Da cacciatrice è, coerentemente, vicina alla lobby delle armi. Piace alle famiglie tradizionali, visto che si è sposata giovane ed ha avuto 5 figli, senza rinunciare alla carriera. Compensa McCain, poco vicino alla destra religiosa e tradizionale perché giudicato troppo aperto nell’ambito dei diritti civili (legalizzazione delle coppie gay, ecc.), in quanto tenacemente antiabortista. Verso di lei sono impossibili accuse di opportunismo politico in questo campo, perché ha vissuto e vive con dolore le sue convinzioni, visto che ha accettato – anche dopo una amniocentesi – di avere un figlio (l’ultimo) “down”. E’ noto che lei è favorevole ad uno sviluppo dello sfruttamento delle risorse petrolifere e di gas naturale del suo Stato, ma non può essere accusata di essere sostenuta dalla lobby del petrolio, visto che aveva promosso un aumento delle tasse del suo Stato sui profitti delle compagnie. 

Se il telegenico – e potenzialmente vincente – team Obama-Biden, alle volte, pare annaspare nelle secche di alcune contraddizioni, come l’ambiguità di Obama in politica estera che vuole ritirarsi subito dall’Iraq, ma che minaccia Teheran o, come la la vexata quaestio della “negritudine” del candidato, evitata per tutte le primarie, ma portata alla ribalta nel discorso del senatore dell’Illinois a Denver, il binomio McCain-Palin sembra più cristallino. Se Obama appare, sia per i suoi modi radical chic, sia per la sua ossessione per la forma fisica, sia, anche, per il suo tour europeo – poco apprezzato negli Stati Uniti –  un personaggio sempre più mediatico e distante dalla base del suo partito, McCain, unitamente alla Palin, fanno testimonianza di coerenza con le ferite delle proprie esperienze personale (la prigionia presso l’Hanoi Hotel per lui e l’ultima difficile maternità per lei), dando sostanza al motto della loro campagna elettorale: “Country first”. 

Gli effetti dell’ultima mossa di McCain non si sono fatti attendere. Non solo non vi è stata la prevista avanzata democratica nei sondaggi, ma si sta assistendo al fenomeno contrario. Sono i repubblicani che stanno recuperando terreno. L’ultimo sondaggio Zogby dà i candidati repubblicani al 47%, mentre i democratici scendono al 45%. Mentre deve ancora iniziare la convention del Gop a Minneapolis-St.Paul sembra già che Denver sia stata una sconfitta per i democratici, fin troppo sicuri di sé. Con la scelta della Palin John McCain ha fatto sue le parole di quella canzone militare americana, citata da Mc Arthur nel suo discorso al Congresso: “Old soldiers never die”.