Con Trentin scompare un sindacalista senza eredi

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Con Trentin scompare un sindacalista senza eredi

27 Agosto 2007

Bruno Trentin è stato una figura
atipica nel sindacato, nella sinistra italiana, nello stesso PCI. Egli fu prima
un intellettuale e poi un sindacalista. Questa fu la sua prima originaria
differenza rispetto a Di Vittorio e a Luciano Lama al cui livello va collocato.
Trentin arrivò al sindacato partendo da un ruolo culturale: non a caso diresse
per anni l’ufficio studi della CGIL. La formazione culturale originaria di
Trentin fu molto influenzata da quella del padre Silvio, fu profondamente
europea con forti riferimenti all’elaborazione francese ed inglese. Non a caso
la prima militanza politica di Trentin fu il partito d’azione. Poi applicò la
sua cultura al mondo del lavoro, all’economia, alla società italiana e quindi
al sindacato. Con questo retroterra poi Trentin diventò un leader sindacale
anche perché viveva in modo assai complesso il rapporto con gli operai in carne
ed ossa: non li mitizzava né li escludeva dalla sua riflessione culturale e
dalle conseguenti scelte politiche. Diversamente da una larga parte del gruppo
dirigente del PCI e della CGIL e ancor più nettamente dal grosso degli
intellettuali comunisti Trentin non fu mai un dogmatico ma sempre un
ragionatore problematico e si è sempre misurato con la realtà, quella economica
e quella del movimento dei lavoratori. Nel PCI e nella CGIL i suoi rapporti
dialettici principali furono con Pietro Ingrao, Riccardo Lombardi e Vittorio
Foa ma non può affatto dirsi che egli avesse una collocazione di corrente.
Certo nel famoso convegno sul capitalismo italiano indetto dall’Istituto
Gramsci la sua relazione fece da contraltare a quella di Giorgio Amendola, ma
le riflessioni di Trentin andavano sempre oltre gli schemi precostituiti. Fu
molto impegnato sulla prospettiva dell’unità sindacale con Pierre Carniti e con
Giorgio Benvenuto. Nel sindacato fece cose di sinistra, come la politica della
Fiom e l’impegno per i consigli, ma anche assunse in modo netto posizioni di
“destra”, come l’opposizione all’egualitarismo salariale e l’accordo
sulla concertazione del 1992. Nel complesso un uomo raro per cultura, rigore e
anche per totale assenza di dogmatismo. Probabilmente per queste sue qualità e
anche per la sua natura aristocratica non ha lasciato eredi e tanto meno ha
formato correnti. Fu anche un grande alpinista e certamente è stato proprio un
tragico e bizzarro scherzo del destino l’incidente di un anno fa vicino a
Dobbiaco, nelle amate Dolomiti, che ha provocato infine la sua morte. Nella profondità
e serietà delle differenze politiche da molti anni a questa parte lo ricordiamo
con affetto, rispetto e con grande dolore per la sua morte. Una grande perdita.
Una grande perdita che, come quasi tutte le cose serie, non sta trovando sui
grandi giornali, che ormai danno spazio solo alle cose ignobili e ridicole,
l’eco che invece sarebbe dovuta e giusta.