Con Winograd Israele dà lezioni di democrazia
01 Febbraio 2008
La pubblicazione integrale
del rapporto Winograd sulla guerra dell’estate 2006 contro
Hezbollah, ha portato la stampa mondiale a interrogarsi sulle sorti di
uno dei suoi principali protagonisti, il premier israeliano Olmert. Ci si è
chiesti cosa succederà nei prossimi giorni a Tel Aviv, se il ministro della Difesa
Barak continuerà a sostenere il premier o se Israele e tornerà presto alle
urne. Tutte domande lecite, e pressanti, che hanno oscurato però il tratto
fondamentale della questione: cos’è il rapporto Winograd? E soprattutto, qual è
il suo contenuto?
Cominciamo col dire che il
signor Eliahu Winograd è un ex giudice della Corte Suprema israeliana. Al
termine della guerra tra Israele e Libano del luglio 2006 – scoppiata in
seguito al rapimento di due soldati israeliani da parte del movimento sciita
libanese Hezbollah, guidato da Hassan Nasrallah –, Winograd è stato chiamato a
presiedere una commissione d’inchiesta sulla condotta del conflitto da parte
del governo e dei capi militari. La commissione è stata istituita dallo stesso
governo di Olmert, sotto accusa da parte di ampie frange della popolazione e
della scena politica israeliana.
Se il rapporto nella sua
completezza è stato reso noto solo mercoledì sera, alcune anticipazioni erano
state fornite all’opinione pubblica già a maggio 2007. Anticipazioni durissime,
racchiuse in 171 pagine: come responsabili della cattiva condotta dell’esercito
nel sud del Libano venivano additati infatti Ehud Olmert – al quale è stata
imputata mancanza di ponderazione e prudenza –, il ministro della Difesa Amir
Peretz – definito inesperto e poco informato della situazione sul campo – e il
capo di Stato Maggiore Dan Halutz – impulsivo e poco professionale. I tre
venivano accusati inoltre di aver maturato in sole due ore l’idea di rispondere
militarmente al rapimento dei soldati: di qui tutti gli errori che sono
seguiti.
Mercoledì sera, invece, il
rapporto è stato presentato nella sua completezza. Una versione integrale, che
tratta anche di questioni coperte da segreto di Stato, è stata consegnata ai
membri del governo. Una conferenza stampa di Winograd, invece, ha esposto
chiaramente alla popolazione israeliana le conclusioni a cui è giunta la
commissione. Primo, di cosa si è occupato il gruppo presieduto da Winograd? Di
esaminare gli eventi occorsi nei 34 giorni della seconda guerra del Libano,
quindi il periodo compreso tra il 18 luglio e il 14 agosto 2006. La
commissione, ha sottolineato il giudice, ha anche gettato un occhio agli eventi
“che hanno preceduto la guerra, da quando l’esercito israeliano ha
lasciato il Libano nel 2000”.
Un’indagine
importante, a tutto campo, un “segno di forza” della democrazia
israeliana che ha saputo mettersi in discussione riconoscendo di aver commesso
degli errori. Ecco perché lo scopo dell’inchiesta è stato quello di
“investigare a fondo quello che è accaduto, come una lezione per il
futuro”: i risultati, dunque, non contengono atti d’accusa rivolti ai
singoli – quello che più temeva Olmert –, quanto piuttosto una disamina degli
errori collettivi perché in futuro non vengano commessi di nuovo. Detto ciò,
chiarisce Winograd, è di tutta evidenza che tanto i politici quanto le sfere
militari hanno pesanti responsabilità nell’esito della guerra.
Poste
le premesse, le prime considerazioni della commissione riguardano la guerra
nella sua interezza. La seconda guerra del Libano, secondo Winograd, è stata
“una seria occasione perduta”: Israele ha iniziato una guerra –
condivisa in linea di principio dalla grandissima parte degli israeliani – che
è terminata “senza una chiara vittoria”. Un pareggio, insomma,
sancito dal cessate il fuoco e dall’invio del contingente Unifil a dividere i
contendenti: peccato però, continua il giudice, che il pareggio sia il
risultato dello scontro fra l’esercito più potente del Medio Oriente contro
un’organizzazione paramilitare e circoscritta. Detto chiaramente: con la sua
“netta superiorità aerea, tecnologica e di uomini” Israele avrebbe
dovuto vincere senza troppi problemi.
Se
così non è stato, la falla deve stare nella strategia. Come si è approcciato
Israele alla guerra? Per un lungo periodo si è limitato all’utilizzo massiccio
dei bombardamenti e a un utilizzo limitato delle forze di terra. In tutti quei
giorni Hezbollah, forte del suo radicamento sul territorio (e anche dell’uso di
civili come scudi umani) ha continuato imperterrito a lanciare razzi sullo
Stato ebraico, senza che le bombe dal cielo scalfissero minimamente il suo
potenziale. E qui viene la più dura condanna del rapporto: solo alla fine del
conflitto, quando la risoluzione delle Nazioni Unite – che ha imposto il
cessate il fuoco – era ormai alle porte, Israele si è deciso a imboccare la via
di un’operazione militare terrestre su larga scala. Troppo tardi: è durata solo
60 ore, “non ha portato al raggiungimento di alcun obiettivo e non è stata
portata a termine”. Sta di fatto, chiude il giudice, che la scelta di
mettere in campo l’assalto via terra, seppure tardivo, era
“indispensabile”: viste le polemiche concentrate attorno al tema
negli ultimi mesi, sono queste le parole che salveranno Olmert, almeno per il
momento.
Le
responsabilità di queste falle strategiche stanno un po’ ovunque. Winograd le
ha individuate nel processo decisionale, negli staff politici e militari messi
insieme per la gestione del conflitto, nelle alte cariche militari, nella
scarsa lungimiranza tattica. Errori già riconosciuti dal governo: non a caso,
subito dopo il conflitto, tanto il ministro della Difesa Peretz quanto il capo
di Stato Maggiore Halutz hanno rassegnato le loro dimissioni. Le falle
strategiche, sottolinea la commissione, non solo hanno portato all’inutile
pareggio (che non ha minimamente risolto il problema Hezbollah) ma hanno
portato a un’insufficiente capacità di difendere i cittadini israeliani,
bersagli di migliaia di razzi lanciato dalla terra dei cedri.
Insomma,
cosa avrebbe dovuto fare Israele? L’analisi di questo punto è forse la parte
più interessante – e costruttiva – del rapporto. Deciso l’attacco, Israele
aveva di fronte a due possibilità (entrambe logiche e non esenti da rischi).
Uno: “Un breve, doloroso, forte e inaspettato attacco a Hezbollah,
inizialmente attraverso i bombardamenti”. Due: “Puntare su un cambio
significativo della situazione nel sud del Libano, con una grande operazione
terrestre che comportasse temporanea occupazione dell’area e ‘pulitura’ delle
infrastrutture di Hezbollah”. Insomma: un colpo durissimo, tanto
determinato da sistemare la questione per un po’ di tempo, oppure un’operazione
più massiccia (e pericolosa) volta a sistemare la pratica definitivamente. Qui
sta l’errore capitale: anziché scegliere l’una delle due, “Israele è
andato alla guerra senza avere scelto e senza una precisa exit-strategy”.
L’indecisione è durata per tutto il conflitto, una guerra nella quale Israele
“si è mosso a tastoni” senza sapere bene dove andare a parare. Quando
finalmente Israele ha deciso, proclamando la giusta operazione terrestre su
larga scala, restavano solo 60 ore: troppo poco, anche per il miglior esercito
del Medio Oriente.
In
chiusura, non manca qualche nota positiva. Winograd ha riconosciuto che, al di
là degli errori, Olmert e i capi militari hanno agito “nell’interesse
d’Israele”: hanno sbagliato, ma credevano di fare la cosa giusta. Al di là
degli errori, poi, l’esercito ha dato prova di importanti conquiste:
“menzioni speciali” la commissione le riserva alla forte volontà dei
soldati di servire lo Stato e combattere la guerra, agli atti di eroismo,
coraggio, sacrificio e devozione. Come dire: le colpe sono delle alte sfere,
certo non dei ragazzi dell’Israel Defence Force.
Un
rapporto “pesante”, vero. Ma un rapporto attutito dai precedenti mesi
di polemiche: tutti si aspettavano il peggio, e invece sono emerse parziali
“assoluzioni” per Olmert – che già ieri guadagnava qualcosa nei sondaggi.
Tanto che i più preoccupati, alla fine, sembrano i libanesi: se Nasrallah parla
di certificazione del fallimento israeliano, sono in molti a Beirut a credere
che Israele possa presto tornare a finire il lavoro interrotto nell’agosto
2006.