Conciliare fede e ragione: l’ardua sfida intellettuale di papa Benedetto XVI

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Conciliare fede e ragione: l’ardua sfida intellettuale di papa Benedetto XVI

Conciliare fede e ragione: l’ardua sfida intellettuale di papa Benedetto XVI

02 Gennaio 2023

A livello di senso comune la biografia di Joseph Ratzinger, al secolo Benedetto XVI, è segnata dal suo «gran rifiuto», che ha rinnovato dopo circa settecento anni quello di Pietro da Morrone, al secolo Celestino V.

Varrà notare che nel frattempo la vita dell’uomo e la sua essenza si sono modificate, che di questi mutamenti antropologici Ratzinger è un profondo conoscitore, e che egli è stato il più stretto collaboratore di Giovanni Paolo II: un gigante della Chiesa i cui ultimi anni sono stati gravati da una malattia che ne ha inficiato le capacità di governo, determinando non pochi problemi.

È un fatto: la vita dell’uomo si allunga e si dilata anche la fase nella quale le sue forze non rispondono più alle esigenze di governo, soprattutto quando la responsabilità deve essere sorretta fino all’ultimo giorno. Non è un caso che lo stesso Francesco abbia fatto sapere di aver lasciato disposizioni nel senso delle dimissioni se un giorno le energie dovessero venir meno.

Per quanto riguarda le dimissioni di Ratzinger fermiamoci qua, perché in caso contrario rischieremmo di scivolare nella dietrologia su una vicenda rispetto alla quale le conoscenze sono ancora insufficienti anche solo per formulare delle ipotesi. Stiamo ai fatti.

Il primo fatto è che la scelta di Benedetto XVI, anche se evocativa della storia di Celestino V, è stata profondamente diversa da quella del suo predecessore. Benedetto XVI ha voluto essere Papa emerito, rimanere un punto di riferimento per la Chiesa. Lo ha fatto con discrezione, utilizzando la moral suasion, la parola finché essa è diventata troppo flebile, soprattutto gli scritti. La sua intenzione di «restare», in qualche modo, è apparsa definitivamente chiara in occasione del suo viaggio in Germania presso il capezzale del fratello, anch’esso sacerdote, che stava lasciando questo mondo. In tanti avevano ipotizzato che Ratzinger non sarebbe rientrato nelle mura vaticane. E invece appena possibile egli ha fatto ritorno lì, dov’era il suo posto.

Un altro fatto – quello decisivo – è che Joseph Ratzinger è stato forse l’unico uomo in tutta la storia del mondo ad essere insieme il più grande intellettuale vivente e il Papa. La vastità e lo spessore del suo sapere non sono infatti messi in discussione da nessuno, nemmeno da quanti sul terreno delle idee e della fede gli sono stati nemici. Il fatto, però, è che un Papa deve saper occupare contemporaneamente due stanze: quella dei libri, che sostanziano la fede, e quella del potere.

Nel caso di Benedetto non solo è stata evidente la asimmetria. Il problema è che, in epoca di relativismo galoppante, il nucleo centrale della sua riflessione è stato il tentativo di conciliare fede e ragione, di dimostrare come un’idea non semplicisticamente illuministica della razionalità possa comprendere la fede; anzi – saremmo tentati di dire – difficilmente possa farne a meno.

È questo il motivo per il quale Ratzinger ha affascinato tanti intellettuali e uomini di cultura non credenti, con cui si è confrontato e ai quali ha cercato di far comprendere quanto possa essere «intelligente» farsi trascinare dalla fede e poter alla fine ammettere «io credo».

Ma quest’operazione titanica dal punto di vista della cultura, ovvero il tentativo di conciliare scienza e fede, è stata anche la sfida intellettuale meno funzionale alla necessità di governare una realtà che, per quanto con implicazioni trascendenti, è sempre una realtà umana, ha a che fare con il legno storto e, in questo tempo particolare, ha a che fare con quel pensiero debole che Benedetto con i suoi scritti ha provato a sconfiggere.

Benedetto, insomma, è stato un grande intellettuale, non un grande Papa. Ma fino in fondo è stato un uomo della Chiesa, perché – forse aiutato dall’Alto – ha compreso quale era il suo ruolo e lo ha svolto fino all’ultimo. In tempi di relativismo accelerato, un caposaldo di quel pensiero serve a tutti. Serve soprattutto alla Chiesa, che non può rassegnarsi ad abbandonare pezzi sempre più ampi del mondo affidandosi alla sua vastità. Non può perché non è questa la missione, non può perché i processi di secolarizzazione corrono veloci.

(Tratto da Gazzetta del Mezzogiorno)