Condoleezza prova a far ripartire il processo di pace

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Condoleezza prova a far ripartire il processo di pace

07 Marzo 2008

Molto spesso, nel corso degli ultimi
mesi, il segretario di Stato americano Condoleezza Rice ha visitato Israele e i
territori palestinesi. Lo ha fatto per preparare il vertice di Annapolis,
cercando una convergenza fra le due parti nella stesura di un documento comune.
Lo ha fatto – anche con il presidente George W. Bush – dopo la conferenza di
pace, per assicurarsi che le trattative procedessero spedite. Ma il viaggio in
Medio Oriente compiuto questa settimana aveva un sapore molto diverso: quello
della disperazione, dell’ultimo tentativo per far sì che il lavoro di mesi non
bruciasse nella guerra in atto tra Hamas e Israele.

La Rice è atterrata in Israele martedì mattina: ha trovato una calma surreale,
forte di una tregua stipulata tra israeliani e militanti di Hamas dopo giorni
di raid, assedi, razzi e morti. Ad accogliere il segretario di Stato, una
situazione potenzialmente esplosiva: armi ancora fumanti, minacce israeliane di
un’invasione della Striscia di Gaza su larga scala e interruzione ufficiale
delle trattative di pace da parte del leader dell’Anp Abu Mazen, in segno di
protesta per la risposta israeliana ai lanci di razzi palestinesi. Obiettivo
della Rice? Riportare Israele e l’Anp al clima di Annapolis, cioè all’impegno
per il raggiungimento di un accordo definitivo entro la fine del 2008.

Un’impresa tanto gravosa che Condoleezza ha cercato di prendere alla larga,
partendo dall’Egitto. Al Cairo, il segretario di Stato ha incontrato il
ministro degli Esteri egiziano Ahmed Aboul Gheit e il presidente Hosni Mubarak:
principale tema sul tavolo quello di Hamas, in seguito allo sfondamento  del muro di Rafah che a gennaio ha portato
migliaia di palestinesi a sconfinare in Egitto a caccia di cibo, medicinali e
armi. Alla stampa la Rice ha dichiarato quello che in privato ha cercato di
spiegare al presidente egiziano: “Hamas sta facendo quello che ci si
potrebbe aspettare, cioè usare attacchi di razzi contro Israele per fermare un
processo di pace dal quale loro non hanno nulla da ottenere”. Il successo
delle trattative, infatti, porterebbe a una sola Palestina governata dall’Anp.

Israele ha il diritto di difendersi, ha continuato la Rice, e ogni ritardo
nelle trattative è una vittoria dei militanti palestinesi. Poi, sempre
dall’Egitto, sono venute parole di speranza volte a incoraggiare Olmert e Abu
Mazen: “Io continuo a credere che possano giungere a un accordo entro la
fine dell’anno, se tutti si impegneranno in questo senso”. Non sarà
facile, e Condoleezza lo sa: “Ci saranno alti e bassi. Ci saranno giorni
buoni e giorni cattivi, settimane buone e settimane cattive. Parlerò a entrambe
le parti spingendoli a restare concentrati su quello che deve essere
fatto”.

Poste le basi al Cairo, la Rice si è spostata nei territori. Il suo primo
incontro è avvenuto a Ramallah con Abu Mazen, nel tentativo di convincere l’Anp
a revocare la sospensione dei colloqui con la controparte israeliana. Nella
conferenza stampa congiunta, Abu Mazen ha chiesto una tregua definiva tra Hamas
e Israele e ha ribadito di credere ancora possibile un accordo entro la fine
dell’anno. Ma le distanze con Israele, ha chiuso il presidente, restano molto
forti e “nessuno può giustificare i raid mortali compiuti dall’esercito
israeliano nel corso degli ultimi giorni”.

L’incontro con Abu Mazen è stata una piccola vittoria per Condoleezza. Qualche
ora dopo aver condizionato la ripresa del dialogo al cessate il fuoco tra
Israele e Hamas, Abu Mazen ha finito infatti per accettare i colloqui senza
condizioni: “Il processo di pace è una scelta strategica e
abbiamo intenzione di riprenderlo”. Fondamentale, in questa scelta, l’intervento
degli Stati Uniti. Una scelta quella di Abbas che i militanti della Striscia
non hanno preso bene: il portavoce di Hamas Fawzi Barhoum lo ha definito
“un uomo debole, che non può difendere il popolo palestinese: l’America e
Israele non lo tengono in considerazione, ma lo usano come un mezzo per
applicare i loro piani sulla Palestina”.

Lasciata Ramallah, è venuto il momento degli israeliani: sul tavolo, la
questione dei raid sulla Striscia di Gaza. Ma sul punto, tanto il premier
Olmert quanto i ministri degli Esteri Livni e della Difesa Barak sono stati
molto chiari: la situazione con Hamas non è più sostenibile e
Israele ha intenzione di rispondere colpo su colpo, anche se si tratterà di
rioccupare Gaza. Così Barak: “Ai cittadini di Gaza possiamo solo dire che
quando i razzi si fermeranno, e così gli attacchi terroristici da Gaza in
Israele, allora si aprirà la strada per una realtà diversa fatta di calma su
entrambi i fronti e di buoni rapporti di vicinato”.

Sulla questione, Israele ha sposato la linea della fermezza assoluta: uno Stato
deve difendere i suoi cittadini, vittime di attacchi indiscriminati. E Condoleezza
Rice lo sa bene: dopo aver incontrato la Livni, il segretario di Stato americano
non ha chiesto il cessate il fuoco e ha piuttosto intimato ad Hamas di mettere
subito fine ai lanci di razzi sul territorio israeliano. Allo stesso tempo,
però, ha chiesto agli israeliani di fare il possibile per proteggere la
popolazione palestinese nel corso delle operazioni dell’esercito, volte a
sradicare le rampe di lancio dei razzi. Hamas, dice la Rice, “adesso sta
cercando la strada per creare uno Stato tenendo in ostaggio la popolazione. Non
possiamo permetterlo”. A questo proposito, il ministro Barak ha lanciato
un appello perché vengano sgomberati i civili residenti attorno ai target israeliani.

Tutti, ormai, sembrano aver colto quello che è chiaro da mesi: con Hamas nella
Striscia non ci sarà mai nessun accordo, nessuna Palestina, nessuna pace. E non
a caso, riferendosi agli attacchi israeliani, la Rice stata molto attenta a non
condannarli nel merito, riconoscendone piuttosto l’aspetto difensivo. Stando
poi alla rivista americana “Vanity Fair”, uscita in contemporanea al
viaggio di Condoleezza, la stessa amministrazione Bush avrebbe tentato di
spodestare Hamas già dopo le elezioni del 2006. Il reportage della celebre
rivista cita documenti riservati palestinesi e americani, secondo i quali Bush
e la Rice avrebbero cercato di armare una milizia di Fatah (il partito di Abu
Mazen) allo scopo di impedire la presa del potere da parte di Hamas. La Rice
non ha voluto commentare la notizia, ma se fosse vero si tratterebbe di un’ulteriore
“prova” della presa di coscienza collettiva – da parte di Fatah,
Israele e Stati Uniti – dell’impossibilità di progredire sulla strada della
pacificazione finché Hamas controllerà parte della Palestina.