
Confesercenti: l’austerity è costata 130 mld. E intanto pure Confindustria boccia la politica di Renzi

16 Settembre 2016
La correzione dei conti pubblici è costata all’Italia, negli ultimi 10 anni, circa 130 miliardi di euro. E’ questo il conto dell’austerity, a quanto emerge dall’analisi condotta da Ref Ricerche per Confesercenti, sommando i valori facciali di tutte le manovre dal 2007 ad oggi. Nello studio presentato viene evidenziato come “si ottiene una correzione, tra riduzione delle spese e aumento delle entrate, di ben 130 miliardi di euro, di cui circa la metà provenienti dalle sole maggiori entrate”.
Complessivamente infatti, nel periodo esaminato, solo tre manovre su dieci hanno avuto carattere espansivo, con un saldo tra entrate e spese pubbliche a favore di queste ultime. Le manovre più recenti, “a partire da quella relativa al 2013 e in misura crescente negli anni successivi, hanno segnato una inversione di tendenza nella politica di bilancio, che ha gradualmente abbandonato la sua impostazione restrittiva per assumere toni neutrali”.
Non sembra, così, per dirla in termini spiccioli che le fantomatiche riforme di questo governo stiano facendo bene a questo paese.
E non è finita qui. Arriva anche la batosta da parte di Confindustria avverte il governo che il sostegno non è gratis: la politica economica va cambiata in senso più favorevole alle imprese. Il messaggio è stato sorprendente per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ieri ospite del Centro studi di viale dell’Astronomia (Csc) per la presentazione degli Scenari economici.
Csc, infatti, ha rivisto al ribasso di un decimo di punto percentuale le previsioni di crescita del Pil sia per il 2016 (da +0,8 a +0,7%) sia per il 2017 (da +0,6 a +0,5%). In pratica, gli analisti confindustriali prevedono stagnazione negli ultimi due trimestri dell’anno, un andamento che dovrebbe portare il deficit/Pil al 2,5% quest’anno e al 2,3% il prossimo. Servirebbe già da adesso prepararsi a una correzione sui conti, tanto più che le previsioni del Csc tengono conto di alcune misure che il governo ha annunciato tra le quali l’annullamento delle clausole di salvaguardia per 15,1 miliardi.
L’analisi evidenzia, inoltre, come tra 2000 e 2015 il Pil sia aumentato in Spagna del 23,5%, in Francia del 18,5 e in Germania del 18,2, mentre in Italia è “calato dello 0,5%”. Il Paese è malato di bassa crescita e non solo vedrà aumentare il divario col resto d’Europa “ancor più rapidamente”, ma rinvierà al 2028 l’appuntamento con i livelli lasciati nel 2007. Ecco perché l’esecutivo dovrebbe concentrare “le poche risorse disponibili sulle voci che hanno maggiore efficacia: investimenti, produttività, patrimonializzazione delle imprese”.
In pratica al ritmo attuale l’Italia riuscirà a riagganciare i livelli pre-crisi solo nel 2028. I rischi, infatti, nell’analisi di Confindustria, “si mantengono verso il basso. Tanto che la crescita indicata per il 2017, sebbene già del tutto insoddisfacente, non è scontata e va conquistata”.
Il premier e i suoi ministri per quanto tempo ancora ci racconteranno favole e cercheranno di convincere l’Italia tutta che le cose vanno bene?