Conflitto di interessi e odio di classe
16 Maggio 2007
di redazione
Agli inizi del Novecento la neonata scienza politica dovette occuparsi di un problema:
come far sì che, in seguito alla democratizzazione indotta
dall’allargamento del suffragio, il cosiddetto better element (i possessori delle migliori risorse materiali e
intellettuali) non si auto-escludesse dalla vita pubblica, ma anzi fosse
incoraggiato a prendervi parte. Per quanto possa apparire paradossale, oggi il
problema che Violante e compagni stanno ponendo al Paese con la legge sul
conflitto di interessi è specularmente contrario a quelle preoccupazioni.
Si sta cercando il modo di
concedere al better element l’alibi
per potersi disinteressare per legge delle cose della nazione, contrattando il
proprio privato interesse con la casta dei politicanti. Sia chiaro: se la legge
sul conflitto d’interessi dovesse passare nella versione attualmente in
discussione alla Camera, ad essere esclusi dal governo della nazione non
sarebbe soltanto Berlusconi ma anche Montezemolo, Soru, Illy e chi più ne ha
più ne metta. Persino Casini e Dini cadrebbero sotto la mannaia in quanto “parenti,
affini o conviventi”. E’ incredibile che gli imprenditori non abbiano
fatto sentire la loro voce più forte di quella dell’opposizione. E’ incredibile
ma non sorprendente. La circostanza la dice lunga sui vizi di lungo corso del
capitalismo italiano. Ci fa capire fino in fondo perché Berlusconi ha
rappresentato una positiva anomalia. E ci spiega ancora una volta, dopo
Vicenza, perché lui si trovi in conflitto con il vertice della sua categoria.
D’altronde non
c’è da sorprendersi se questa maggioranza dove politici dal passato di
militanti sindacali occupano gli scranni più alti delle istituzioni del
paese, si bandisce la cultura d’impresa dalla
scena politica. C’è in questo governo una cultura anti-imprenditoriale che
maschera appena qualcosa di più profondo e più radicato: l’odio di classe.