Conflitto d’interessi, riparte l’attacco

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Conflitto d’interessi, riparte l’attacco

04 Maggio 2007

“Una legge più blanda che nelle altre democrazie”. “E’ un provvedimento di killeraggio politico nei confronti degli oppositori”. Romano Prodi, il premier dello 0.06 per cento. Silvio Berlusconi, l’ex premier e capo dell’opposizione. Di nuovo uno contro l’altro. In forte polemica. Quasi come un anno fa. Ma stavolta ad animare i due opposti avversari, a ridare fiato alla lotta politica è la legge sul conflitto d’interesse. Il testo definitivo ancora non c’è ma è bastata soltanto l’indicazione della data dell’avvio della discussione alla Camera, il 14 maggio, per scatenare le polemiche. In realtà dopo lo scontro di due giorni fa e lo slittamento a lunedì prossimo della discussione, in Commissione Affari Costituzionali sono in molti a ritenere che nelle prossime ore ci potranno essere ulteriori modifiche al ruolino di marcia del provvedimento.

Fatto sta però che dall’Unione si procede a tappe forzate con il presidente e relatore per la maggioranza, Luciano Violante, che con grande abilità si sta muovendo tra le centinaia di emendamenti. E se dalla maggioranza si ripete che i tempi di studio e dibattito tra Commissione ed Aula sono più che sufficienti, dall’altro canto l’opposizione alza le barricate. Valutazioni che comunque confermano la volontà dell’Unione di chiudere in tempi stretti l’analisi del provvedimento. Una forzatura, quanto meno, che molti hanno letto come una concessione, l’ennesima, fatta alla sinistra radicale che da giorni è in fibrillazione per una possibile grande intesa Berlusconi-Ulivo. Da qui, forse, l’accelerazione che però non è stata senza conseguenze all’interno della stessa maggioranza. Infatti tirata la coperta verso la sinistra estrema è rimasta scoperta la parte dello schieramento centrista della maggioranza dove subito l’Udeur ha fatto sentire la propria voce, prima disertando il vertice di maggioranza sul tema e poi spiegando che “si riserva di decidere se sostenere o no il provvedimento quando esso approderà in Aula”. Schermaglie, tutte legate al referendum elettorale. Dall’altro lato la Casa delle Libertà ha ritrovato compattezza visto che non è solo Forza Italia che è partita all’attacco del provvedimento ma anche Udc ed An sono molto critiche.

Nell’occhio del ciclone il contingentamento dei tempi che secondo Alfredo Vito, capogruppo alla Camera di Fi, è “una provocazione evidente  che una maggioranza sbrindellata sente di dover fare non a Berlusconi, ma a milioni di elettori italiani che hanno votato Forza Italia”, ma il merito del provvedimento. Rispetto al testo presentato dal capogruppo ulivista Franceschini lo scorso gennaio il progetto di legge è stato progressivamente inasprito evitando però soluzioni pericolose. Come quella di Verdi, Rifondazione e Comunisti italiani che avrebbero voluto la totale ineleggibilità a cariche di governo dei possessori di patrimoni superiori ai 10 milioni di euro o di aziende anche se solo in concessione. Una scelta che avrebbe di fatto impedito a Berlusconi di presentarsi alle elezioni se non avesse deciso di vendere Mediaset. Alla fine è passata una soluzione più moderata prevedendo l’incompatibilità per chi, detentore di un patrimonio superiore ai 15 milioni di euro o di un’azienda in regime di concessione o di autorizzazione, rivesta incarichi di governo. Tra le novità nel testo per ora discusso la creazione di un’Autorità indipendente che dovrà valutare i possibili casi di incompatibilità ed il sistema di “blind trust” per la gestione del patrimonio “colpevole” di creare conflitto d’interesse. In effetti proprio su questo ultimo punto si erano fatte molto accese le critiche anche del mondo professionale. Tra tutti Lamberto Cardia, presidente della Consob, che proprio nell’audizione di qualche giorno fa in Commissione Affari Costituzionali aveva frenato gli ardori di parte della maggioranza che prospettava la possibilità di obbligare la dismissione dinanzi alla prospettiva di un “blind trust” a cui affidare la gestione dell’intero patrimonio del soggetto di governo in conflitto d’interesse.

Una soluzione che ancora oggi Romano Prodi considera valida e “presente negli Usa”, ma che Cardia ha bocciato spiegando che  “è adeguato alla gestione di patrimoni mobiliari”, ma non “per la detenzione e la gestione di attività economiche a carattere imprenditoriale”. Critiche che secondo molti alla fine metteranno alle corde il provvedimento e la stessa maggioranza. Ma intanto si guarda già all’Aula, con la consapevolezza che per diventare legge il provvedimento dovrà essere approvato anche dal Senato. E come molti sanno, da quelle parti non si sa mai cosa può accadere.