Confutazioni di sapore ratzingeriano contro i luoghi comuni dell’Unità

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Confutazioni di sapore ratzingeriano contro i luoghi comuni dell’Unità

27 Febbraio 2008

Paola Gaiotti De Biase ha scritto, sull’Unità, un pezzo
assolutamente degno di confutazione. In ciò, dunque, prezioso. La tesi di fondo
emerge dalle ultime parole: “I cattolici dovrebbero sentire il dovere di essere
qualcosa di più di un gruppo di pressione”. Per giungere a tale originale
conclusione, la De Biase, in
perfetto stile Azione Cattolica anni ’70 – quando si parlava, ignorando
qualsiasi elementare traduttore simultaneo, che invece avrebbe avuto il suo
ruolo principe in que. Bailamme progressista, la lingua del convegno ecclesiale
del ’76, “Evangelizzazione e promozione umana”, curato dal padre gesuita Sorge
-, inanella una serie di luoghi comuni che racchiudono perfettamente il verbo
cattoprogressista, leggermente diverso da quello propriamente cattocomunista e,
per certi versi, sensibilmente distante da quest’ultimo.

Procederò per tesi, in modo da confutare con maggiore
cogenza intellettuale e chiarezza.

Prima tesi: esiste una “trasversalità fra credenti e non
credenti” sui temi cosiddetti eticamente sensibili. Di ciò la Chiesa non si è accorta e
per ciò attacca indiscriminatamente il Pd veltroniano in merito alle
candidature Radicali e di Veronesi.

Confutazione: è così poco evidente che esista questa tanto
conclamata “trasversalità” fra laici e cattolici sui temi eticamente sensibili
nel Pd che i teodem si sono auto-candidati a watch-dogs dei radicali
(vigileremo! ), così da non consentire “uno stravolgimento del programma del Pd
in senso radicale e laicista” (Enzo Carra, uomo di punta dei Teodem). Niente
male come “trasversalità”!

Seconda tesi: il laicato cattolico subisce troppo
l’intervento e la pressione diretta della gerarchia per farsi prendere sul
serio dalla politica. D’altra parte, sono figli di un dio minore perché così li
vuole la Chiesa,
irrilevanti e inconsistenti.

Confutazione: singolare tesi che dimostra una certa
difficoltà nel fare i conti con i reali mutamenti del rapporto tra la gerarchia
cattolica e i laici credenti. Ne aveva già parlato diffusamente Giovanni Paolo
II nella “Christifideles laici” e l’allora Card. Ratzinger in un importante
documento sul ruolo dei laici credenti in politica. Ma tant’è…ancor più
singolare è che una cattolica progressista come la
De
Biase
consideri così poco rilevanti
qualcosa come dieci milioni di persone che frequentano le parrocchie e vanno a
Messa, molti dei quali si impegna nel volontariato e sono protagonisti del
terzo settore. Evidentemente il Pd ritiene assai più decisiva la battaglia
anti-gerarchia che il consenso autentico del “popolo di Dio”. Come, del resto,
sostiene il Vaticano II e non dovrebbe sfuggire questo “particolare” alla De
Biase, autorevole studiosa cattolica: documenti come la “Lumen Gentium” e la
“Gaudium et spes” parlano chiaro. Aggiungo che la valutazione che la studiosa
fornisce dell’azione della Chiesa negli anni Ottanta, incluso il capolavoro del
Concordato e il rapporto fecondo con Craxi, è a dir poco discutibile. Con
Craxi, la Chiesa
non superò lo stallo dell’immobilismo e dell’irrilevanza dei laici credenti, ma
costruì una nuova prospettiva di pacificazione di protagonismo della Santa
Sede, che fu certamente rilanciata da un certo Giovanni Paolo II. Un evento
storico che divenne il segno di una nuova epoca. Laicità pura. Ma la
De
Biase
pensa, come tutti i cattolici
progressisti, che vi sia autentica laicità solo quando sussistano rapporti
stretti con la sinistra e tutto ciò sempre “con la schiena dritta”, come
amavano dire i rappresentanti, anche chierici, dell’Azione Cattolica. La
tavoletta dei “cattolici adulti” nasce in seno ad esperienze ecclesiali di
questo tipo.

Terza tesi: i laici cattolici sono irrilevanti perché
“adulti” e inclini a concepire la secolarizzazione come esperienza
“liberatoria”. La tesi della teologia della secolarizzazione è qui richiamata
senza imbarazzo alcuno, nonostante la sua irrilevanza nel dibattito teologico
contemporaneo (quel poco che è rimasto in piedi). La secolarizzazione è invece
un male, più volte denunciato da Benedetto XVI, tant’è vero che, nel suo
magistero, vi è molta di quella sana disillusione teologica che aiuta non poco
a discernere distinguendo il grano dal loglio. Ma i cattolici “adulti” sono
inclini, questo sì, ad adulterare tutto: in ciò vi è perfetta scienza. Non c’è
che dire. E’ così un male, la secolarizzazione, che la laicità cattolica è
costretta, oggi, a distinguere l’adesione cordiale al magistero della Chiesa
dalla libertà, una distorsione dovuta appunto all’immanentismo secolarista. In
italiano: alla secolarizzazione. La De Base
dovrebbe infine riflettere su quanta parte della poltica sia stata azzerata
sotto il regime della secolarizzazione, che finisce per negare qualsivoglia
fondamento all’agire politico, insistendo invece sulle manovre laterali e,
udite udite, sui trasversalismi. Accusando, in ultima istanza, di “fondamentalismo”
ed “integralismo” chiunque affermi con decisione e preparazione adeguata
posizioni nette e chiare sui temi eticamente sensibili e non solo su essi. Sono
proprio queste concezioni secolariste a determinare le sterili “trattative
clericali in cerca di garanzie”, non le “crociate” nette a favore della difesa
della vita dal concepimento alla morte (su ciò, è da leggere e meditare
l’intervento del Papa durante il Congresso della Pontificia Accademia per la Vita: “Accanto al malato
inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi”, 25.02.08).

Quarta tesi:  “Le
sfide etiche contemporanee non sono semplificabili entro un generico, vago,
indefinito richiamo alla vita: sono più complesse e impegnative”. Sì, la realtà
è complessa, lo sapevamo. D’accordo. Ma come fare per agire? Come fare per
semplificare, in vista dell’azione eticamente orientata al bene?Su tutto
questo, silenzio tombale dall’illustre intellettuale cattolica. L’unico refrain
è: complessità, amici, complessità. Corrisponde in fondo alla condizione di
cattolico “adulto”: se sono adulto, tutto io vedo complesso e insuperabile.
Dunque, meglio infilarsi nel ginepraio delle interpretazioni e nell’infinito
intrattenimento delle presunzioni accademiche. Basta non decidere sulla base della
verità. Perché un tale domandò a Gesù: cos’è la verità? E poi sappiamo com’è
andata a finire…

Quinta tesi: è normale, a questo punto, essere contro la
legge 40, anzi attendere addirittura la Nuova
Era
della sua “revisione” e per arrivare a quale mirabolante
risultato? Non ho capito bene, riproduco integralmente la profonda riflessione
della De Biase: “E non credo che possiamo confondere l’unicità genetica
dell’embrione, che è un dato da rispettare (e  che è alla base del rifiuto della
clonazione) con la sua pienezza di persona. La natura stessa affida alla fase
fra concepimento e insediamento nell’utero, una funzione selettiva
percentualmente molto alta, mi si dice con un destino segnato per l’80% degli
embrioni, che protegge la specie e che evita alla donna il rischio di
plurigravidanze. Non vedo perché la scienza nel momento che sostituisce la
natura, dovrebbe inibirsi, pur con le proprie tecniche e senza cedere a
capricci privati, lo stesso compito selettivo che caratterizza il processo
naturale”. A parte la sintassi alla tedesca, che sembra minare il miglior
Adorno dei “Minima moralia”, ci par di capire che il pensiero della De Biase si
fondi più o meno sul seguente assunto: la natura ne ammazza di più, parliamo di
embrioni, allora, perché negare anche alla scienza questa straordinaria
possibilità, naturalmente “senza cedere a capricci privati”, cioè, in soldini,
invece che ammazzarli, sempre gli embrioni, per ragioni di scelta privata,
potremmo farli morire per ragion di Stato. Evidentemente lo stesso pensiero
della Chiesa, ops, errore, del “meglio della chiesa”: i “cattolici adulti”.

Infine, questo è un pio desiderio, la
De
Biase
è un’ottantenne che non vorrebbe
essere mantenuta in vita a prezzo della mancata rianimazione di un ragazzo o di
una ragazza vittime di un’incidente. E questa è veramente una chicca degna
della migliore teologia della secolarizzazione, troppo per un ratzingeriano di
risulta come chi scrive.