Conoscere Huntington per salvarsi dallo scontro di civiltà

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Conoscere Huntington per salvarsi dallo scontro di civiltà

14 Maggio 2007

Le teorie che Huntington sviluppa nel suo più famoso, e più discusso, “The Clash of Civilization”, e che approfondisce nell’ultimo lavoro letterario intitolato “Who Are We?”, hanno una matrice culturale. Il sostrato che accomuna i due volumi è l’accento posto su ciò che Gunnar Myrdal nel 1944 definì il credo americano, cioè quell’ethos, quella sensazione di avere qualcosa in comune in grado di avvolgere ed amalgamare una popolazione così variegata. La condivisione di certi valori non solo politici ma anche religiosi, sociali, istituzionali e comportamentali è ciò che Huntington reputa necessaria per la fondazione di una solida identità nazionale. Ad un nazionalismo di stampo civico che ipotizza la partecipazione alla società in base ad un contratto politico che i soggetti di qualsiasi razza ed etnia sono in condizione di sottoscrivere, e ad un nazionalismo di carattere etnico in cui l’appartenenza alla nazione è limitata solo a coloro che condividono determinate caratteristiche ancestrali, Huntington contrappone un nazionalismo culturale, in cui l’adesione non riguarda solo la conoscenza della lingua inglese o le teorie derivate dalla produzione letteraria o filosofica americana, ma le idee di democrazia, laissez-faire, costituzionalismo, individualismo, uguaglianza, diritti inalienabili, rispetto delle libertà altrui, limitazione dell’autorità del governo ed etica del lavoro.

Tali principi, che costituiscono i canoni della civiltà occidentale, subiscono, nel mondo odierno, un’ostilità generatasi sia a livello globale sia all’interno della stessa società americana. Contrapponendosi alle tesi di Fukuyama, Huntington rifiuta come semplicistica la dichiarazione del trionfo del liberalismo successivo al crollo dell’URSS. La perdita del nemico storico, lungi dall’attuare la supremazia statunitense a livello internazionale, ha invece creato un assetto uni-multipolare, in cui la potenza d’oltreoceano, che ancora possiede le migliori referenze in svariati settori, deve però rapportarsi con un numero sempre maggiore di attori importanti che tendono a coalizzarsi in base ad affinità culturali. La prefigurazione di uno scontro tra civiltà, in particolar modo tra quella occidentale e quella orientale-islamica, non implica, come molti critici di Huntington sostengono, una guerra tra mondi. Il rafforzamento delle proprie peculiarità, che l’autore newyorkese propone al mondo euro-americano, quale mezzo per contrastare le minacce globali, non comporta lo sterile rafforzamento di un amor proprio diffidente volto al perpetuarsi di continui affronti tra unità irreparabilmente separate. Huntington riconosce l’inevitabile interdipendenza del nostro tempo, è solo più realista che ottimista sui possibili esiti della stessa.

Se più frequenti contatti potrebbero generare un numero più elevato di possibili dispute è indispensabile, in un mondo a più civiltà, come lo stesso Huntington scrive, “accettare la diversità e cercare le comunanze”. Il dialogo tra le parti non è quindi precluso e l’invigorimento dei propri valori costitutivi ha lo scopo non di promuoverne l’universalizzazione, che risulterebbe antiproduttiva ed irrealizzabile, ma ha piuttosto un carattere difensivo, cioè di mantenimento, e non di imposizione, delle proprie radici e della propria identità in mezzo alle altre.

Se l’hard-power dell’America, cioè l’ingiunzione dei valori d’oltreoceano al di là dei confini territoriali, è dannoso e sempre meno attuabile, anche il suo soft-power, cioè il potere di attrazione dei suddetti valori, sta scemando quale effetto di una sempre maggior disaffezione da parte degli americani. Le minacce al credo si possono riscontrare nello sviluppo dei movimenti multiculturalisti promuoventi l’eterogeneità linguistica, il mantenimento di identità sub-nazionali, lo sviluppo di diritti di gruppo a detrimento di quelli individuali, la divulgazione dell’idea secondo la quale la cultura occidentale risulterebbe psicologicamente repressiva nei confronti di coloro che hanno origini straniere. A livello politico si è favorito uno stesso comportamento indulgente verso la diversità etnica, soprattutto di stampo ispanico e messicano, grazie alla concessione della doppia cittadinanza, a leggi che favoriscono il ricongiungimento familiare, sul suolo americano, degli immigrati e ad una serie di altri benefit, sia politici che economici, non elargiti invece agli stessi americani. Ad una elite sempre più denazionalizzata Huntington contrappone i dati statistici di una popolazione sempre più patriottica e fedele ai valori del credo. Se la storia americana insegna che il gap tra valori e realtà non si può eliminare mai completamente, Huntington evidenzia anche che, nei momenti di maggiore crisi, è sempre la spinta dal basso che preme per un avvicinamento ai principi fondativi, ed è quindi l’americano medio il vero custode di quelle verità che lotta per ristabilire. L’eccezionalità dello spirito americano risiede anche in questo: promuovere riforme ed agevolare il cambiamento non all’inseguimento di nuove ideologie o con la volontà di sovvertire l’ordine costituito ma per la protezione di un ethos in voga da tre secoli.