Conosci il tuo nemico, entra nella sua mente

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Conosci il tuo nemico, entra nella sua mente

28 Novembre 2008

The Mind of Jihad di Laurent Murawiec è un libro sull’Islam radicale che finalmente coglie nel segno. Al contrario dei tanti che si sono esercitati nell’incandescente dibattito sulla natura dei nostri nemici, Murawiec non crede che gli antichi testi ci dicano tutto ciò che abbiamo bisogno di sapere. Insiste sul fatto che col tempo tutte le idee finiscono per cambiare, anche quelle che si crede siano state dettate dall’angelo di Dio. E dunque Murawiec si è immerso non solo nei sacri testi dell’Islam ma anche nelle più variegate orazioni, negli scritti e nelle azioni dei suoi osservanti più estremi, i jihadisti che ci fanno la guerra.

Murawiec ammette con franchezza che non si è trattato di un’impresa facile, che molte delle idee che aveva all’inizio si sono rivelate sbagliate e che la sua attuale comprensione della “mente della jihad” lo sorprende. Un’acquisizione secondo la quale, attualmente, questa dottrina va ben oltre la resurrezione di comandamenti medievali e che di fatto ha molto a che fare con i totalitarismi europei e sovietico. Come Murawiec ci racconta con avvincente senso del dettaglio, i jiahdisti hanno collaborato con tutti i regimi e i movimenti totalitari europei. E seppure si è saputo qualcosa sulla loro collaborazione con il Fuhrer (nella persona di Amin al-Husayni, Gran Muftì di Gerusalemme), l’alleanza con l’Unione Sovietica è stata costante, intima ed estremamente importante. Un’alleanza che ha provveduto a una parte del tirocinio chiave dell’organizzazione e, ancor più probabilmente, anche alla sua intelligence.

Qualche volta, bisogna ammetterlo, Murawiec esce un po’ fuori dal seminato, come quando scrive che “la maggior parte dell’orribile repertorio del moderno antisemitismo arabo e musulmano è scaturito dall’Unione Sovietica (con la sola componente razziale-biologica aggiunta dai nazisti)”. Questa valutazione, in effetti, rende scarso onore alla lunga tradizione dell’antisemitismo musulmano i cui seguaci non avevano certo bisogno che Lenin e Stalin gli insegnassero a odiare gli ebrei. Ma avevano bisogno di Hitler e, cosa ancor più importante, di Himmler per mettere in chiaro le modalità più moderne per odiare, e poi annientare, gli ebrei. Non c’è da sorprendersi, dunque, che il Muftì visitò in tutta tranquillità Auschwitz in compagnia del suo compare Adolf Eichmann.

Ma forse la parte più degna di stima di questo libro inestimabile è l’esposizione affascinante di come gli Islamici, teoreticamente incaprettati a una dottrina politica e sociale che ha reso molto difficile, se non impossibile, ribellarsi a chi detta le regole, siano arrivati a sposare un’ansia rivoluzionaria alquanto sinistrorsa. Secondo Murawiec, la figura chiave del movimento è il pakistano Sayyid Abul Ala Maududi, amico di Khomeini e di Sayyid Qutb, l’eroe di Osama bin Laden. Maududi – nota Murawiec – rappresenta una regressione ai tempi dei millenaristi medievali europei come Thomas Muntzer e gli anabattisti radicali. E, come quelle dei millenaristi europei, le affermazioni di Maududi sono universali. “Per mettere in atto il proprio programma di distruzione e ricostruzione, di rivoluzione e riforma, l’Islam non fa appello a un’unica nazione ma all’intera umanità”. Ciò, di fatto, trasforma l’Islam da causa religiosa a causa politica, una chiamata alle armi, come se Stato e Rivoluzione di Lenin fosse divenuto la loro fiaba della buonanotte.

Il risultato di queste influenze europee e sovietiche è che i jihadisti sono mossi da una autentica sete di sangue e sono adepti di un culto della morte. Murawiec, poi, mostra occhio lungo e naso fino nel raccontare aneddoti come l’omicidio del primo ministro giordano Wasfi al-Tell allo Sheraton Hotel del Cairo nel novembre del 1971. Figura tra le più eminenti del contrasto all’Olp in Giordania, al-Tell era stato oggetto di minacce di morte dopo il “Settembre nero”. E la vendetta di Arafat fu veloce e brutale: Cinque colpi, sparati a bruciapelo… barcollò all’indietro verso le porte girevoli in frantumi… e cadde morente sul pavimento di marmo tra le schegge di vetro. Mentre era steso lì, uno dei killer si chinò su di lui e leccò il sangue che gli usciva dalle ferite. Con calma Murawiec trae le debite conclusioni: “Stava accadendo qualcosa di fuori dell’ordinario, non si trattava di una guerra nel senso comune del termine, non di un conflitto politico né di guerriglia”.

The Mind of Jihad è un lavoro di considerevole eleganza e cultura, e plausibilmente non poteva essere scritto che da un europeo divenuto americano in quanto coniuga il meglio del gusto francese per i dettagli dell’ideologia jihadista – e per le connessioni del jihadismo con i suoi precursori europei – con uno sguardo acuto e pragmatico alle terribili conseguenze di quelle idee e di quelle passioni. È un grande libro, e merita grande attenzione.

© National Review Online

Traduzione Andrea Di Nino

Michael A. Ledeen è il Freedom Scholar della Foundation for Defense of Democracies di Washington.