Consacrando Obama presidente Clinton sembrava Veltroni

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Consacrando Obama presidente Clinton sembrava Veltroni

06 Settembre 2012

 

Niente di nuovo sotto il sole di Charlotte, North Carolina, dove si sta svolgendo la Convenzione Nazionale del Partito Democratico. Il 5 settembre è stata la serata dell’ex presidente Bill Clinton. Volto telegenico, sorriso Durban’s, movenze da attore di Hollywood, il ragazzone dell’Arkansas non ha deluso. Ha imbastito un discorso fatto di slogan facili e noti, e di dati che nessuno mai controllerà, ha presentato Obama come fosse Superman e non un presidente contestatissimo pure da una buona fetta dei suoi che già ha fatto danni strutturali per ben quattro lunghi anni, ha elogiato l’inquilino della Casa Bianca dipingendolo come il redentore dei diseredati, ha taciuto sui problemi enormi che non sono più quelli che erano poiché nel frattempo sono peggiorati, ha addossato ogni colpa al presidente George W. Bush e ha disinvoltamente fatto finta di non avere mai definito Obama sostanzialmente un lacchè. Tutto esattamente secondo copione, tutto come Clinton ci ha abituati a sentire e vedere sin dai tempi dell’affaire Lewinsky.

Dice una cosa di soppiatto e in pubblico il suo contrario esatto, mente sapendo di mentire, ride alle battute serie e incolpa il “complotto” dei guai di cui è causa. Un istrione perfetto, e un bugiardo solenne.

Davanti a lui, la folla era in delirio. Erano anni che non udiva menzogne così ben confezionate. Che bravo, quel Clinton. Che talento, l’ex presidente. Grosse come lui non le racconta nessuno; e riesce sempre a non guardare in camera dando a bere che non sta recitando. Abituato a vivere d’irrealtà, utopie e svarioni, il popolo della Sinistra osanna Obama e Clinton che è il suo profeta. Perché ciò che stupisce di più di questi servizietti è che tutti plaudono, applaudono e osannano solo perché sentono ripetere una volta in più quel che volevano sentirsi dire entrando nella hall.

Consacrando Obama, infatti, Clinton ha evitato di parlare di qualsiasi cosa abbia un aggancio seppur minimo con la realtà, non ha affrontato un tema che fosse uno, ha evitato nodi, spine, problemi e questioni, non ha sponsorizzato una misura concreta di governo proposta e magari pure attuata dal suo beniamino. Ha sbandierato retorica, facile facile. A sentirlo sembrava di stare dentro uno dei romanzi di Walter Veltroni. O davanti al teleschermo mentre va in onda (da qualche giorno è il pane quotidiano) un’auto-recensione dell’ex leader a L’isola e le rose sotto forma d’intervista in ginocchio.

Ma oltre al nulla con il vuoto interno che ha visto Clinton-pinocchio farla da protagonista, la serata ha comunque riservato un aspetto qualificante di alta politica quando, prima di Clinton, ha preso il microfono Cecile Richards, presidente del Planned Parenthood Action Fund. La Richards ha parlato da intruppata della politica, anzi da costola organica del Partito Democratico, persino da capocorrente, intimando al mondo che l’uomo forte che difende il “controllo delle nascite” dalla Planned Parenthood sbandierato come una fede religiosa c’è («The good news is, we already have a president who’s on our side»), si chiama Obama e faranno di tutto per rileggerlo.

Di per sé, la famosa e famigerata Planned Parenthood è però un organismo privato, bipartisan, non schierato, apolitico. Che alla Convenzione Nazionale Democratica, davanti agli occhi di tutti, la Richards si sia data la briga di ricordare che invece è tutta una messa in scena e che la Planned Parentohood è un’arma strategica dell’esercito Democratico, ligia alla dottrina di partito (o magari viceversa), è stato un contributo enorme alla chiarezza e un sublime salto di qualità politica,  capace da solo di redimire lo sbraco clintoniano che l’ha seguita.

La differenza lampante e stridente fra la proposta Democratica e il ticket Romney-Ryan l’ha mostrata la Richards, c’è da ringraziarla.

Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana