Consulta: gli embrioni tirano un sospiro di sollievo
24 Marzo 2016
A Roma si dice: Nun ce vonno sta’. “Ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo affinchè censuri l’Italia”, perché non consente la ricerca sugli embrioni: questa la minaccia di Filomena Gallo, avvocato della Associazione Luca Coscioni che in questi anni ha cercato ostinatamente di smontare la legge 40. Devono essere caduti in confusione, dopo la débacle di ieri: infatti hanno già fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo per cercare di utilizzare gli embrioni per la ricerca, e hanno già perso!
In quell’occasione la Grand Chambre della CEDU aveva pure avuto l’opportunità di ascoltare tutte le ragioni di uno scienziato come Michele De Luca, Presidente della Luca Coscioni ed esperto di cellule staminali, ma pare non sia bastato: si trattava del caso Parrillo, l’Italia ha vinto e loro hanno perso. La corte europea, dunque, aveva già riconosciuto la legittimità dei divieti della legge italiana, ma evidentemente la memoria dei radicali ieri sera ha fatto cilecca, e se lo sono scordato.
Comunque la Consulta è stata chiara: se si vogliono destinare gli embrioni umani alla ricerca è necessaria una legge del parlamento: troppo complessa la materia per essere tagliata con l’accetta da un pronunciamento della Corte. Evidentemente la lezione dell’eterologa è servita: la brutta sentenza a firma Tesauro che ha eliminato il divieto di fecondazione eterologa ha lasciato un vuoto normativo imbarazzante, che ancora fa sentire le sue conseguenze.
Stavolta la Corte si è ben guardata dal ripetere l’errore e ha dato ragione all’Avvocato dello stato, Gabriella Palmieri, che in udienza aveva ribadito come la questione posta alla Corte Costituzionale riguardasse “tre piani che si intersecano tra loro: quello del diritto costituzionale, quello del diritto internazionale e quello della scienza. C’è chi sostiene che basti un diritto soft e chi invece in nome di un tecnoscientismo assoluto, ritiene che non vada disciplinato alcun profilo. Ma scienza, diritto e tecnica è un trinomio che non costituisce una scala di valori, ma implica un bilanciamento che il Parlamento deve valutare”.
Ed è proprio questo il punto: un semplice taglio al divieto di ricerca scientifica posto dalla L.40 avrebbe portato ad un nuovo vuoto normativo, perché la legge non prevede la ricerca sugli embrioni umani, e quindi si sarebbe posto il problema su quali poter fare ricerca e su che tipo di ricerca autorizzare, sulle forme di consenso da chiedere alle coppie, sulla possibilità o meno di trasferire embrioni manipolati in utero, e via dicendo. Ma è soprattutto vero che i limiti da porre alla ricerca scientifica costituiscono un aspetto che non può essere regolato nell’autoreferenzialità delle comunità scientifiche.
Lo ha detto innanzitutto la stessa Corte costituzionale quando, al tempo dei referendum che volevano abolire la L.40, respinse il quesito che la voleva eliminare per intero, affermando che invece una legge in questo caso fosse necessaria, proprio per il tipo di problematica affrontata. La ricerca scientifica e le sue applicazioni e ricadute sugli esseri umani non possono eludere l’agorà per eccellenza, cioè le aule del parlamento, per restare confinate in ambito accademico, oppure nei salotti cartacei degli inserti culturali o nei “dibbattiti” in Tv.
Gli sviluppi della tecnica in ambito biomedico, ma non solo, hanno conseguenze enormi che si susseguono con una velocità a cui lo stesso mondo scientifico fa fatica a tenere dietro. Adesso non si tratta più di strumenti tecnologici in mano all’uomo, che possono essere usati decidendo come, fino a che punto e per quali finalità: le nuove, sofisticate tecnologie si intrecciano con l’umano, penetrandolo e modificandone la natura più intima, in una rivoluzione antropologica di cui si fa fatica ad essere veramente consapevoli. E tutto scorre e muta così rapidamente che non c’è neppure il tempo per fermarsi a riflettere: dobbiamo farlo in corsa, mentre gli eventi accadono.
La politica nel senso più alto e democratico del termine deve guardare in faccia questo mondo che cambia e porsi il problema della sua governance, chiedendosi quali siano gli strumenti più adatti, probabilmente cercandone di nuovi. E’ questo che ha riconosciuto ieri la Consulta: prendiamone atto.