Contenimento, soluzione, trasformazione: la politica si dimostri all’altezza del dopoguerra che ci aspetta
26 Novembre 2020
di Paolo Romani
Sento spesso dire da parte di molti osservatori, e sicuramente da parte delle forze di opposizione, che il governo manchi di una visione. Una visione complessiva dei problemi ingenerati dalla pandemia e dei danni economici che ne sono derivati sul tessuto sociale, industriale e finanziario.
In altre parole il governo avrebbe, da un punto di vista sanitario, inseguito l’andamento della pandemia con provvedimenti parziali, i famosi DPCM, spesso insufficienti, e mai tempestivi, per arginare il contagio. Senza mai attivare piani più complessi, in grado di prevedere e prevenire le diverse ondate ed i drammatici effetti in termini di sofferenza e perdita di vite umane.
Nel contempo, dal punto di vista economico, il governo avrebbe tentato di tamponare gli effetti, prima con i diversi decreti e recentemente con i cosiddetti Ristori. Ristori che come tante Matrioske si inseriscono l’uno nell’altro ancora in fase di esame parlamentare, dando la manifestazione plastica di non avere un quadro d’insieme e ancor peggio di ritenere l’economia un sistema chiuso all’interno dei confini geografici di una regione. Man mano si allargano i confini della pandemia, che fa virare in rosso il colore delle regioni, man mano i decreti Matrioska ingrassano e si adeguano con colpevole ritardo agli effetti economici della stessa pandemia.
Questo susseguirsi di provvedimenti tampone si confronta con le risposte sistemiche che in altri Paesi impegnati a fronteggiare la crisi pandemica hanno avuto caratteristiche di tempestività e di visione sicuramente maggiori rispetto alle nostre. Penso alla Germania e alla Francia, per non citare gli Stati Uniti, dove si è riusciti ad accreditare sui conti correnti dei cittadini cifre che si sono avvicinate anche al 75 per cento dei mancati ricavi o al 90 per cento delle spese. A poche ore dalla richiesta. In alcuni casi anche in assenza di misure di confinamento e distanziamento così rigide come quelle italiane.
Questo sistema di inseguimento tardivo ha avuto un impatto sociale devastante, ha generato grandi disuguaglianze fra garantiti e non, e ha colpito le categorie già maggiormente in difficoltà: gli autonomi, imprenditori e commercianti, che hanno visto le proprie attività fortemente ridotte o addirittura chiuse, le filiere verticali interrotte, perdendo al contempo la possibilità di restare sui mercati; i precari e le partite IVA, gli stagionali e i consulenti, gli addetti del mondo dello spettacolo, mondi diversi accomunati dalla mancanza di certezze che in tempi di pandemia si è spesso tramutata in certezza di mancanza di lavoro; i giovani, a cui abbiamo levato la scuola senza preoccuparci che fossero messi nelle condizioni di accedere alla didattica a distanza ed ai quali spesso addebitiamo la colpa di una gestione schizofrenica della crisi; le donne, più occupate nei settori di cura alla persona e dei servizi, e spesso costrette ad abbandonare il lavoro per le aumentate esigenze familiari, in virtù anche del gap salariale che rende il reddito femminile quello a cui rinunciare più facilmente; gli anziani, prima over 80, poi giù a calare, per dare un senso alle morti, per dare un senso alle priorità di cura. Siamo diventati anziani prima ancora di diventare pensionabili.
Il binomio blocco dei licenziamenti e cassa integrazione ha consentito di tutelare i lavoratori dipendenti. E l’accordo, nato dal dialogo fra le parti sociali, dà il segno di un cambio di passo che in politica ancora non si è visto. Certo è inevitabile anche dire che la legittima battaglia dei sindacati rischia di essere oscurata dalla scelta dello sciopero generale il 9 dicembre.
Ritorno dunque alla questione iniziale e mi domando: C’è la possibilità di avere una visione? La risposta a mio avviso è una soltanto: c’è la necessità di avere una visione. Di avere un quadro complessivo delle esigenze del settore sanitario, in primis, del sistema economico, nella sua integrità, e del tessuto sociale, e di avere una visione per superare l’emergenza, e per disegnare quella che dovrà essere, per forza di cose, una normalità diversa. Perché quelli che sono emersi in maniera soverchiante sono i problemi strutturali irrisolti.
Inadeguatezza della classe politica di fronte ad una emergenza epocale, lacci e lacciuoli che hanno spesso bloccato i provvedimenti che pure in ritardo sono stati adottati, mancanza totale di un piano, di un programma, di una visione che anticipasse i fondamentali del dopo-guerra, del periodo successivo all’emergenza.
E a supporto di questa considerazione porto un unico dato: settecentoventidue. I decessi di mercoledì 25 novembre. Ad un mese dal Natale, piangiamo in un solo giorno 722 persone che hanno abbandonato la loro vita, i loro cari, la nostra società.
Il giorno prima erano di più. Sarà probabilmente, come dicono da sempre i tecnici, l’ultimo dato ad invertire il trend. Paghiamo una popolazione in proporzione più “vecchia”. Forse. Ma la statistica ci da’ ancora una volta torto. Non è forse vero che la composizione della popolazione italiana è analoga a quella tedesca?
In assenza di un quadro chiaro delle necessità, il Parlamento viene saturato dal susseguirsi di sub emendamenti del governo ai Ristori, non consentendone di fatto l’approvazione e dunque l’erogazione delle risorse; di voti sugli scostamenti di bilancio senza alcuna previsione di destinazione; e da una Legge di Bilancio, quella che per definizione dovrebbe dare la visione economica del Paese da qui a tre anni, che si perde nel finanziamento di piccoli capitoli di spesa, molto circoscritti, dimenticando completamente lo scopo del provvedimento.
È mancata la visione? Sì, è mancata la visione. Vogliamo provare a definirla? La capacità di visione appartiene a quella categoria della politica che semplifica i problemi complessi, che usa la grammatica delle soluzioni immediate, senza infilarsi nei labirinti di una legislazione ad addizioni successive, operazioni queste che spesso portano a somma zero.
Proviamo a declinarla. Prima fase: contenimento. Tutte le risorse a debito a tutti senza nessuna esclusione. Una percentuale alta, altissima di ristoro immediato, simile a quella di altri paesi europei. Se il fatturato dell’azienda Italia vale 1.800 mld di €, 150 mld di € al mese, due mesi di blocco ed il trascinamento del danno sulle altre mensilità valgono 300 mld di €. Proviamo ad arrivare al 70 per cento di ristoro? Sono 200 miliardi. Quelli che abbiamo sempre detto servivano come liquidità vera al Paese.
Abbiamo tamponato con fatica la prima e seconda ondata? Ci aspetta un piano vaccinale formidabile? Dobbiamo somministrare, di norma, una prima dose e dopo 18 giorni il richiamo, dopo aver fatto un minimo di anamnesi a 40 milioni di italiani, la restante parte oltre quel 15% della popolazione che ha già incontrato o incontrerà il virus prima dell’arrivo del vaccino. E lo dobbiamo fare in due mesi e mezzo. Da metà gennaio alla fine di marzo. Una colossale operazione di organizzazione collettiva. Una spesa importante, molto importante. I soldi ci sono e sono immediatamente disponibili. I 37-30-25 miliardi del MES. Un investimento una tantum che salverebbe la vita a decine di migliaia di cittadini italiani.
E mentre il ritardo del NGEu (Recovery Fund) è diventato un dato di fatto, a prescindere dalle motivazioni, resta imperturbabile il no al MES. A fronte di una evidente inadeguatezza della rete territoriale di prevenzione, diagnosi e cura; della disponibilità di posti di terapia intensiva e di attrezzature in modo proporzionale alle necessità su tutto il territorio nazionale; e di personale specializzato per la cura e l’assistenza dei malati da Covid19. E con davanti a noi la sfida epocale del piano vaccinale. Una sfida non solo organizzativa, dal coinvolgimento appieno dei medici di base, alla definizione della gradualità di somministrazione per classi di rischio, ma anche sociale.
Il fallimento della app Immuni e dei meccanismi di tracciamento sono determinati non solo da un sistema farraginoso, con troppi livelli di comunicazione delle informazioni e differenze territoriali nella gestione, ma soprattutto dalla ridottissima diffusione dell’applicazione fra la popolazione. E questo lo si deve ad una mancanza di fiducia nei confronti delle istituzioni. Da posizioni di lieve scetticismo al radicale negazionismo. Se non si affronta questo tema, si rischia di non raggiungere mai quell’immunità di gregge che consentirà di tornare ad una nuova normalità.
Ed infine il dopo-guerra, l’Italia che sarà dopo l’emergenza. I 209 mld del Recovery arriveranno. Lentamente, anno dopo anno. L’Europa supererà gli egoismi nazionali ma anche le arroganze intellettuali di alcuni circoli del Nord Europa che pretendono di dare patenti di democrazia in cambio di soldi. Tutti salutano Orban e Morawiecki quando partecipano al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo, ma poi quando si devono erogare fondi si stabiliscono regole stringenti e pagelline sul tasso di democrazia di paesi dell’Unione, dimenticando che le sentenze dell’alta corte tedesca di Karlsruhe sovrastano la legislazione europea.
Siamo preparati per questa straordinaria occasione di trasformazione dell’Italia? Siamo in grado di dare non solo una risposta agli occhiuti funzionari europei ma soprattutto ai bisogni ed alle necessità dei cittadini del nostro Paese? Siamo capaci di avere una visione dell’Italia che consegneremo ai nostri figli nel 2030?
Vengo alle conclusioni. Contenimento, soluzione, trasformazione. Sono le tre fasi su cui dovrebbe concentrarsi un piano d’azione. Questo governo è in grado? La risposta è inessenziale. Perché nessun esecutivo pro tempore può assumersi la responsabilità della rivoluzione necessaria per fronteggiare la maggior crisi dalla seconda guerra mondiale.
Avere a cuore il proprio Paese vuol dire, a volte, assumere decisioni che possono arrecare svantaggio politico ed elettorale. E magari superare stupidi ostacoli, come il fantomatico stigma del MES. Settecentoventidue: questo è uno stigma.