Contrada agli arresti domiciliari. Ma non nella sua Palermo

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Contrada agli arresti domiciliari. Ma non nella sua Palermo

24 Luglio 2008

Bruno Contrada da stamani è agli arresti domiciliari a Napoli a casa della sorella Anna. Lo ha deciso, apparentemente a malincuore, il tribunale di sorveglianza di Napoli presieduto dal magistrato Angelica Di Giovanni (quella che voleva mandare in carcere Lino Jannuzzi per diffamazione a mezzo stampa), con giudice a latere Daniela della Pietra.

 

Apparentemente a malincuore perché nel dispositivo si legge che il provvedimento andrà “rivisto” fra sei mesi alla luce dello stato di salute di Contrada. E perché dopo qualcosa come 20 rifiuti, i giudici non hanno voluto concedere a Bruno Contrada il piacere di riabbracciare la moglie nella sua abitazione palermitana per motivi di sicurezza. Come se Contrada potesse a Palermo mettersi in contatto con ambienti di mafia.

E la moglie Adriana che è cardiopatica e che ha bisogno di cure continue non potrà quasi certamente vederlo prima di alcune settimane, visto che i medici le sconsigliano  forti emozioni e viaggi (certamente non potrà farlo prima della fine dell’estate dato che il caldo e l’afa sono fattori di estremo rischio per le persone anziane e sofferenti di cuore).

Comunque un primo passo verso la futura riabilitazione di questo servitore dello stato distrutto e quasi ucciso dai pentiti di mafia che lui stesso aveva fatto arrestare, da Gaspere Mutolo e Rosario Riccobono a Francesco Marino Mannoia, è stato fatto. Una breccia nell’indifferenza generale e nell’odio che cova il fronte dell’antimafia militante e di professione è stata aperta.

Contrada negli ultimi mesi aveva perso oltre 22 chili nel carcere miliutare di Snta Maria Capua Vetere. E il via libera della procura generale della cassazione di ieri  sa tanto di gesto estremo per evitare che l’ex numero tre del Sismi potesse morire in carcere.

A gioire per l’esito dell’udienza del tribunale di sorveglianza di Napoli ci sono stati, per ora, solo gli esponenti del Pdl. I primi tre a farlo sono stati Margherita Boniver, Amedeo La Boccetta (che ha dato per primo la notizia in aula a Montecitorio) e il portavoce degli azzurri Daniele Capezzone.

Quest’ultimo ha dichiarato:  “Era ora che, sulla vicenda di  Bruno Contrada, vi fosse almeno una pagina di umanità e di  ragionevolezza”. Poi ha aggiunto:  “Adesso non ci si fermi, ognuno faccia quello che  può e deve per questo servitore dello Stato, che troppi hanno voluto  dimenticare”.

Concetti analoghi sono venuti dall’ex sottosegretario agli Esteri Boniver : “Era ora che qualcuno si prendesse questa responsabilità.. e  adesso ci batteremo per la revisione del suo  processo, per restituire l’onore a un servitore dello Stato.”

Un compito, quest’ultimo, che non sarà affatto facile visto che Contrada era l’ultimo ostaggio (anzi il penultimo considerato che in situazione analoga si trova ancora il suo ex collega alla squadra mobile di Palermo Ignazio D’Antone pure lui rinchiuso nella fortezza militare di Santa maria Capua Vetere) della stagione dei teoremi politici dell’antimafia degli anni ’90. Teoremi tutti naufragati miseramente dopo l’assoluzione di Giulio Andreotti dalle accuse di mafia e dopo l’archiviazione delle inchieste che indicavano Berlusconi e Dell’Utri come i mandanti occulti delle stragi di Capacie di via D’amelio.

Teoremi che però vivono una loro seconda esistenza nei tanti sceneggiati televisivi e  cinematografici che in questi anni continuano a occuparsi sia della tragica morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sia della vicenda umana del capo dei capi della mafia, il famigerato Totò Riina. Anche perché le sceneggiature sono di solito tutte tratte dai libri di quei giornalisti che facevano praticamente da portavoce alla procura di Palermo nei primi anni ’90.

E visti i diritti di autore incassati, peraltro, si può dire che l’antimafia militante non è solo una professione, come diceva Sciascia già alla fine degli anni ’80, ma anche una notevole fonte di reddito…