Contro Bersani il PdL ha bisogno di un team credibile e competente

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Contro Bersani il PdL ha bisogno di un team credibile e competente

04 Dicembre 2012

Probabilmente sto per dire una grande fesseria: non credo che Silvio Berlusconi stia pensando a una sua ricandidatura a premier per le prossime politiche. Non credo lo stia pensando all’interno del Pdl e neppure con una lista personale di ritorno, cioè, alla prima e sperimentata esperienza di Forza Italia.

Non ci credo e penso che notizie del genere siano frutto di qualche personale reminiscenza di protagonisti di un tempo che fu, ma che non tornerà più. Berlusconi è troppo arguto e astuto per non capire che i tempi sono molto cambiati e l’atmosfera che si respira è diversa: non ci sarebbe spazio di vittoria per una nuova lista tutta ‘personale’. Il vento tira esattamente al contrario e occorre qualcosa di diverso: è stato proprio lui il primo a dirlo, e non ha mai smesso di sostenerlo.

Se serve qualcosa di diverso, allora la questione è semplice: “Silvio Berlusconi candidato premier” è quel qualcosa di diverso che può riaccendere la miccia di una bomba elettorale dei moderati? Io credo di no e credo che con un “no” risponda lo stesso Berlusconi. Il quale, peraltro, immagino che in questi mesi di stop and go attendeva una conferma di questo suo sospetto, e la conferma gli è arrivata dalla vittoria di Bersani alle primarie della sinistra.

Il trionfo di Bersani su Renzi, infatti, fa chiaramente capire che l’Italia, quell’Italia che vota perché sceglie, l’Italia dei moderati, è ancora ferma lì, che e non è cambiata. Da settimane si vive inebriati da queste primarie della sinistra grazie a una critica sponsorizzata soprattutto sui media. Annunci, proclami, confronti in Tv: sembrava quasi che potessero miracolosamente risolvere i problemi degli italiani, grazie a qualche ora di notorietà in più per i contendenti.

Ancora ieri veniva decantato “il successo, specie in termini di immagine ed esposizione mediatica del Pd e degli alleati”. Ma qui sta lo sbaglio e l’abbaglio: si persevera a ragionare come se nulla fosse accaduto nella storia (una crisi economica spaventosa, adulterata da riforme pensionistiche, di lavoro e fiscali esasperanti) e come se il ciclone dell’antipolitica fosse passato e ormai lontano. Non è così: Grillo docet  e Renzi conferma.

Le primarie della sinistra in termini “di partecipazione democratica” sono state un flop: nel 2009 gli elettori furono 3,103 mln; al primo turno quest’anno sono stati 3,130 mln con 530 mila voti di schieramenti diversi del Pd e al secondo turno si è arrivati a 2,742 mln. Un flop con mezzo milione in meno di elettori per la sinistra; ma, sia chiaro, anche un chiaro avvertimento a tutte le parti in gioco nella partita politica: la vittoria di Bersani testimonia quanto alta sia ancora la febbre dell’antipolitica di cui soffrono i partiti. Bersani ha vinto tra i suoi non tra gli italiani; e i suoi, per una grossa fetta, hanno disertato le urne propagandistiche (figuriamoci se non diserteranno quelle elettorali). Insomma, l’italiano del “non voto” e del “voto di protesta” è rimasto freddo, inamovibile dinanzi alle sirene dell’adunata di sinistra.

Invece, le avesse vinte Renzi le fantomatiche primarie (bastava anche un risultato diverso), allora sì che Berlusconi sarebbe potuto tornare a palazzo Chigi. Perché la vittoria di Renzi avrebbe significato un miracolo mediatico, all’americana, alla Forza Italia della prim’ora per intenderci. La vittoria di Renzi avrebbe significato il crollo dell’apparato partitico di sinistra perché surclassato da una marea di “nuovi” elettori provenienti dalle fila del “non voto” e del “voto di protesta”. Avrebbe rappresentato, cioè, quel “qualcosa di diverso” capace di ridestare speranza e, dunque, voto. E, una volta riaperti i giochi, Berlusconi avrebbe avuto alte chance di imporsi nel match a lui più congeniale.

Il fatto che la candidatura a premier di Berlusconi non sia quel qualcosa di diverso capace oggi di rilanciare il centro destra non significa pure, però, che Berlusconi abbia esaurito tutto il potenziale di leader carismatico nell’agone politico italiano. Anzi. Però deve reinventarsi un ruolo. Credo che Berlusconi sia consapevole di questo e che si stia studiando: farsi da parte nella competizione, ma restare il primo azionista di riferimento di un nuovo partito (si chiami Pdl o con altro nome). A dispetto dei tanti tromboni di questi giorni, questo sì che potrebbe rappresentare quel “qualcosa di diverso”, a patto di disegnare minuziosamente il nuovo progetto e programma di governo da offrire agli elettori. Per il quale occorrono tre mosse.

Prima: abbandonare il palcoscenico delle primarie e tornare a parlare agli italiani. Le primarie non sono la panacea dell’antipolitica, ma la via astuta per decidere chi mettere al comando facendo finta che sia scelto dagli elettori (la vittoria di Bersani lo dimostra). Le primarie sono di sinistra dicevo la scorsa settimana, ovvero “non sono di destra” come sostenuto ieri da Vittorio Feltri sul Giornale. Alla sinistra le primarie possono anche far bene, perché assecondano l’ebbrezza e l’eccitazione di chi, a prescindere, si ritiene comunque e sempre di stare nel giusto. E’ al Pdl che invece le primarie farebbero solamente male, perché darebbero il messaggio di un Partito che si scrolla di dosso la responsabilità di creare la squadra di governo, rimettendone ai Cittadini la scelta: una cosa estranea all’esperienza, al bagaglio culturale dell’elettore moderato.

Al posto delle primarie si dia corso ad una serie di incontri, di mini congressi, di confronti mediante i quali si possa formare un “team” di lavoro per la stesura di proposte concrete, tangibili e reali per ogni sorta di problema degli italiani. Contro Bersani alle prossime Politiche va candidato un “team”. Serve subito una riunione di idee, anche di correnti interne al partito, un’operazione che dia il vero sapore di un confronto, con la nascita di “consulte” tematiche: economia, lavoro, fisco, etc. per la formazione della proposta di governo da avanzare ai cittadini.

Seconda: Alfano lo ha già detto, ma venga chiaramente promesso e sottoscritto agli elettori che nel prossimo Parlamento ci sarà spazio soltanto per una squadra di onorevoli con tre “C”: credibilità, competenze e creatività (e si sottolinei la parola “onorevoli”, a dispetto di Grillo e del suo M5S). Si dica che alla Camera il Pdl darà spazio solamente a giovani parlamentari (non di età ma di spirito ed esperienza), mentre al Senato verrà proposta una squadra di parlamentari di provata esperienza per un giusto mix di innovazione e capacità.

Terza (non per ordine di importanza): si eviti una legge elettorale con il voto di preferenza. Bisogna rompere il legame diretto tra candidato ed elettore, propellente della corruzione, spingendo a votare i programmi e le idee. Fantapolitica? E’ molto probabile, come dicevo all’inizio. Ma non mi importa. Sono riflessioni che aiutano comunque a sperare in un futuro diverso. Si avvereranno, bene; altrimenti avrò sperato in un Italia migliore. E sperare non è peccato, ma l’inizio di ogni sana rivoluzione. Quanto poi di vero ci sia, lo capiremo a breve, forse già nelle prossime ore.