Contro gli ebrei è in corso una nuova guerra
22 Ottobre 2010
In occasione della manifestazione Per la Verità Per Israele, organizzata dall’on. Fiamma Nirenstein, sono state lasciate parole e messaggi di solidarietà da vari esponenti del mondo politico e intellettuale. Oggi, l’Occidentale chiederà un’ulteriore testimonianza in favore del governo di Gerusalemme al tycoon australiano, Rupert Murdoch.
Facciamo il punto: quale è la situazione, secondo Lei, che oggi vive Israele?
Il mio punto di vista è semplice: viviamo in un mondo dove c’è una guerra in corso contro gli ebrei. Dai primi anni in cui è stato fondato lo Stato ebraico, Israele è costretto a difendersi. Inizialmente abbiamo assistito a una guerra convenzionale. Poi, il terrorismo ha cambiato tutto così Israele deve proteggersi fuori e dentro casa. Il terrorismo non ha confini: dalla strage degli atleti di Monaco alla seconda intifada, la storia ce lo insegna. Ora, però, la guerra è entrata in una nuova fase. Possiamo definirla una sorta di soft war che mira a isolare lo stato ebraico delegittimandolo. Il campo di battaglia dove si consuma questo nuovo conflitto è ovunque: sui media, nelle multinazionali, attraverso le ONG. E l’obiettivo di questa guerra è rendere Israele uno stato pariah a livello internazionale.
Ci si sta riuscendo?
Be’, se pensiamo che mentre Israele è sempre più ostracizzato dalla comunità internazionale, una nazione come l’Iran dichiara senza problemi di desiderare la distruzione dello stato ebraico e continua la corsa all’arma nucleare, fregandosene delle sanzioni, sembrerebbe di sì. Con il risultato di incoraggiare chi vuole un Medio Oriente senza Israele.
Parlando di comunità internazionale è difficile non pensare agli Stati Uniti…
Ho paura che la politica estera di Washington a volte incoraggi questi estremismi. La relazione tra gli Usa e Israele è fondamentale: quando i grandi alleati si allontanano da Israele aumentano gli attacchi dei terroristi contro lo stato ebraico. Eppure, a costo di apparire credibili di fronte al modo musulmano, gli Usa si sono allontanati da Gerusalemme e nonostante questo cambio di rotta le sofferenze del popolo palestinese non sono di certo cessate.
Qual è, allora, la soluzione?
Credo che la pace che tutti vogliamo arriverà solamente quando Israele si sentirà sicuro e non quando Washington avrà trovato “la giusta distanza”. Mentre parliamo c’è la guerra e questa guerra è condotta da molte persone. Alcuni puntano a far saltare luoghi pubblici. Alcuni lanciano razzi in aree civili. Altri stanno costruendo armi nucleari. Altri sono impegnati sul fronte dei boicottaggi internazionali e delle risoluzioni di condanna contro Israele. Tutte queste persone sono molto interessate alle relazioni Usa-Israele. Pochi giorni fa, fortunatamente, il portavoce del Dipartimento di Stato ha migliorato la posizione dell’America riconoscendo “the special nature of the Israeli state. It is a state for the Jewish people”. Un messaggio molto importante da inviare in Medio Oriente. Perché quando un primo Ministro israeliano viene ignorato da un presidente americano si armano grilletti in tutto il mondo e ci si allontana dal tavolo dei negoziati.
Quando dice “in tutto il mondo” si riferisce anche ai continui episodi di antisemitismo che sporcano di sangue l’Europa? O forse rischiamo di confondere antisemitismo con antisionismo?
Ti risponderò ad entrambe le domande con le parole di un Ministro al Commercio in una Commissione europea: “La pace in Medio Oriente è ostacolata dalla lobby ebraica negli Usa. La maggior parte degli ebrei crede di aver ragione e non importa se siano laici o meno. Quindi non è facile avere, anche con gli ebrei moderati, una discussione razionale su ciò che sta realmente accadendo in Medio Oriente". Per il ministro, insomma, il problema non è la politica israeliana ma la natura degli ebrei.
Quale schieramento politico rappresentava questo ministro?
Oramai l’antisemitismo lo troviamo sia a destra che a sinistra. Se per un periodo è stato mero appannaggio di una destra ignorante, sfortunatamente, ora, è sempre più alimentato da intellettuali progressisti che trovano un vasto pubblico tanto nei ricchi salotti quanto nelle povere periferie, in gran parte musulmane; il risultato è che sempre più spesso gli ebrei europei si trovano stretti in questa tenaglia.
Si riferisce al report presentato dalla polizia olandese dove si legge dell’aumento del 50% di incidenti antisemiti?
Non solo. Quando penso in quale Europa sono costretti a vivere gli ebrei mi torna in mente che nazioni come Spagna e Inghilterra stanno boicottando il turismo israeliano. La Norvegia non consentirà più che sottomarini costruiti dalla Thyssenkrupp su commissione israeliana vengano testati nelle proprie acque. In Svezia, nazione che è stata a lungo sinonimo di tolleranza liberale, gli ebrei sono un crescente oggetto di molestie: una squadra israeliana di tennis, ad esempio, ha dovuto giocare a porte chiuse per sottrarsi al linciaggio. E cosa ha fatto il sindaco di quella città? Ha spiegato che dipendeva tutto dalla guerra di Gaza, equiparando il sionismo all’antisemitismo.
Insomma, come scriveva Vladimir Jabotinsky negli anni trenta: il vero posto sicuro per gli ebrei è presso un proprio focolare, è in Israele?
Sì, ma il problema è che non siamo più negli anni trenta. Certo, le minacce sono cambiate ma restano comunque reali e hanno un linguaggio familiare per chi ha vissuto la Seconda Guerra Mondiale. E queste minacce non saranno mai affrontate finché non le vediamo realmente per quello che sono: una parte della strategia nella guerra in corso contro gli ebrei.
P.S.
L’intervista, ovviamente, è inventata… Sarebbe un rischio per noi far conoscere l’Occidentale a Murdoch: lo vorrebbe a tutti i costi! Il magnate australiano, però, ha realmente pronunciato queste parole in una cena a New York organizzata dall’ Anti-Defamation League.