Contro i georgiani le armate russe vincono ma non convincono
02 Settembre 2008
Il breve ma violentissimo conflitto in Georgia ha fornito una serie di utili indicazioni militari. A tutti i partecipanti, compresi quelli che nel conflitto non sono entrati direttamente (NATO, USA, Europa ed Israele), ma che lo zampino ce lo hanno messo comunque. Il campo ha offerto la chiara ed inequivocabile realtà di una vittoria russa: la sproporzione era tale e tanta che per i georgiani non c’è stato nulla da fare, ma nonostante ciò il Cremlino ha di che riflettere sulla prestazione della propria macchina militare. Beninteso, non stiamo parlando del disastro della prima campagna cecena, ma di un conflitto che ha confermato l’esistenza di diverse lacune nelle Forze Armate di Mosca. C’è ancora molto da lavorare.
Negli ultimi tre anni la spesa militare in Russia è aumentata in modo sensibile. Nel 2007 il bilancio della difesa ha superato la soglia dei 30 miliardi di dollari. Tutto questo però non è bastato per il semplice fatto che gran parte dell’incremento è stato assorbito dalle forze strategiche, considerate la vera priorità dalle presidenze di Putin e di Medvedev. Per prima cosa bisognava rimettere in sesto la pesante eredità dell’Unione Sovietica: missili intercontinentali, bombardieri, sottomarini nucleari ed incrociatori, un arsenale immenso che negli anni Novanta versava in condizioni disastrose. Ciò che non era più operabile è stato dismesso – con l’indispensabile aiuto dell’Occidente – mentre si è cercato di recuperare tutto il resto laddove possibile. Alcuni sottomarini nucleari, dopo pesanti interventi di manutenzione, sono stati rimessi a mare. Navi che giacevano tristemente nei bacini, perché incomplete o immobilizzate dalla mancanza di fondi, sono stati rimesse in servizio: così è accaduto per i poderosi incrociatori a propulsione nucleare classe Kirov Admiral Nakhimov e Pyotr Velikiy o per l’unica portaerei della Marina, la Admiral Kuztetsov.
Le forze convenzionali non hanno goduto di un medesimo livello di attenzione. La professionalizzazione – o meglio la contrattualizzazione, secondo lo standard russo – è un processo in divenire. Ancora oggi la metà del personale delle Forze Armate è composto da coscritti. Nel 2010 si spera di arrivare ad una proporzione di 70 e 30: professionisti e coscritti rispettivamente. Dopo lo shock della Cecenia, tuttavia, alla campagna di Georgia hanno preso parte solo soldati di professione ed i risultati si sono visti. Gravi mancanze, però, restano nel settore dell’equipaggiamento. Le immagini delle televisioni sono state impietose: la gran parte dei carri impiegati nelle operazioni in Georgia era composta dagli ormai vecchi T-72, il cui standard è molto lontano non solo da quello dei carri occidentali, ma persino dallo standard degli stessi omologhi georgiani – ammodernati da industrie occidentali con nuovi sistemi di gestione del combattimento e camere termiche. E lo si è visto anche contro i nuclei anticarro georgiani: i T-72 perforati, nonostante la corazza rinforzata da “mattonelle” reattive, sono stati diversi – un numero preciso è ad oggi impossibile da stabilire. Secondo molte fonti questi nuclei, composti da soli tre-quattro uomini ciascuno, utilizzavano sistemi anticarro israeliani o americani con le stesse tattiche attuate con successo da Hezbollah in Libano contro Tsahal nella guerra di due anni fa. Paradossalmente sarebbero stati gli stessi consiglieri israeliani a travasare questa esperienza ai militari georgiani. Altri problemi per i russi sono emersi nel combattimento notturno. Le industrie americane, europee ed israeliane hanno fornito negli ultimi anni a Tbilisi centinaia di visori ed apparati di osservazione, sistemi di cui i militari russi sono il più delle volte sprovvisti. Un’altra carenza passata sotto la lente di ingrandimento degli alti comandi che hanno già dato indicazione all’industria di provvedere.
La campagna aerea ha evidenziato problemi per certi aspetti simili. Il grosso delle sortite d’attacco è stato sostenuto dai vecchi cacciabombardieri Su-25, qualitativamente inferiori alla manciata di Su-25 georgiani aggiornati con elettronica israeliana. I russi hanno dichiarato di aver perso tre Su-25 ed un bombardiere a medio raggio Tu-22, mentre fonti georgiano indicano in 12 gli apparecchi persi dall’Aeronautica russa. Al di là del balletto sulle perdite – in ogni caso significative considerata la pochezza della difesa aerea georgiana – il conflitto ha mostrato che la Russia non è in grado di condurre una campagna aerea con un’intensità ed una letalità paragonabile alla campagna americana in Iraq o quella della NATO contro la Serbia.
Il Cremlino ha preso con molta serietà tutte le indicazioni emerse dalla guerra e già adesso si parla di cambiamenti, in particolare nel processo di acquisizione di armamenti. Finora la gran parte dell’equipaggiamento “pregiato” realizzato dalle eccellenti industrie russe era destinato all’export. Così è accaduto, per esempio, ai carri T-90, venduti in più di 1.000 esemplari all’India – che adesso se li produce in casa su licenza – ed all’Algeria, ma forniti all’Esercito russo in soli 150 esemplari, o ai velivoli Su-30, esportati in quantità industriali a Cina, India, Malaysia ecc., ma presenti in appena una decina negli arsenali dell’Aviazione russa. Si è così creato un circuito nel quale i soldi ricavati dall’export – 7,3 miliardi di dollari nel 2007 – sono andati a rattoppare le pezze del pachiderma ereditato dall’URSS e, solo limitatamente, alle nuove acquisizioni. Per invertire tale trend occorrerà ancora del tempo, ma la campagna agostana di Georgia ha dato un sincero spunto in questa direzione.
Se la Russia ha motivi su cui riflettere, il materiale su cui esercitare la mente non manca neanche per la NATO e Stati Uniti. La prestazione delle Forze Armate georgiane ha sollevato più di un dubbio in seno al Pentagono ed ai comandi militari dell’Alleanza Atlantica. Le colonne russe hanno sbaragliato con troppa facilità i georgiani e questo nonostante le forniture di armamenti occidentali e l’addestramento ricevuto. Un bel problema, soprattutto se la NATO dovesse proseguire sulla strada dell’allargamento alla Georgia. In tal senso, alternative al riarmo di Tbilisi non ce ne sono. Già adesso si parla di una maxi commessa comprendente veicoli blindati, sistemi anticarro ed elicotteri. Mezzi che dovrebbero servire a rimpinguare gli arsenali svuotati dal conflitto e ad aggiungere qualcosa in termini di nuove capacità. E poi c’è il problema dell’addestramento. Probabilmente gli sforzi compiuti finora da NATO ed israeliani – nell’attacco su Tshkinvali c’erano diverse centinaia di consiglieri israeliani a guidare le truppe georgiane – non sono bastati. I professionisti a contratto russi hanno combattuto meglio, dimostrando una ritrovata compattezza peraltro già apparsa durante le ultime campagne cecene, ed hanno mandato un messaggio chiaro alla NATO. L’ingresso della Georgia avrà un costo, ma questo non sarà solo politico.