Contro la crisi gli stati europei devono integrare debiti pubblici e titoli di Stato
24 Novembre 2011
Lo spettro degli spread continua ad aleggiare sull’Europa. E la situazione è critica in qualsiasi paese europeo, Germania compresa. Da ieri, infatti, anche lo stato tedesco si è accorto di non essere più l’unico paese europeo esente dal problema del collocamento di titoli di debito pubblico sul mercato. L’ultima asta di bund tedeschi, infatti, si è risolta in un flop, con il 35% di offerta rimasto invenduto. La conseguenza è stata un incremento di 10 bp del rendimento offerto, ora pari al 2,25%, al fine di invogliare maggiormente gli investitori ad acquistare i titoli.
Alcuni analisti, ritengono infatti che i rendimenti tedeschi attuali siano troppo bassi in confronto a quelli di altri paesi. Anche la situazione italiana rimane critica. Gli spread si sono collocati sulla soglia dei 484 bp, rispetto ai 497 bp dell’apertura. La riduzione è stata causata, tra le altre cose, proprio dal negativo andamento dell’asta dei bund. Si sono confermati, invece, sopra la soglia del 7% i rendimenti sui titoli a due e cinque anni, rispettivamente al 7,45% e al 7,25% ad inizio seduta. Non va meglio alla Francia, il cui differenziale Oat – Bund è arrivato a toccare i 172 bp, e alla Spagna, con lo spread Bonos – Bund tornato a salire a 467 bp.
In sintesi, si sta verificando un aumento del costo dell’indebitamento per l’intera area Euro. L’Europa si trova a dover pagare una crisi della finanza pubblica e un gap di produttività che affonda le proprie radici negli anni ’70 e ’80, allorché i governi aprirono generosamente i cordoni della borsa pubblica per aumentare la spesa sociale. Si sapeva che l’enorme debito pubblico accumulato avrebbe dovuto essere ripagato, prima o poi. Lo spiegava già Ricardo nel lontano ‘700. Ora quel momento è arrivato, e gli effetti del rimborso sono quelli noti nella teoria economica: necessità di risanare i conti pubblici, incrementare le tasse, ridurre le spese per i servizi. Vale per tutti i paesi. In Italia come in Germania. In Francia come in Spagna. La crisi è, e rimane, una crisi internazionale.
Per questo motivo, è necessario rispondere con soluzioni europee. E’ bene, quindi, che una certa parte della stampa eviti di formulare assurde teorie sulle cause dell’incremento degli spread, come quella della "tassa su Berlusconi", elaborata da alcuni noti economisti. Come si è avuto modo di vedere, la causa del rischio del debito non è il governo Berlusconi, al quale va riconosciuto il merito di aver intrapreso un duro percorso di risanamento, che porterà presto il bilancio dello Stato al pareggio. E fallace è anche sostenere che gli spread siano saliti anche dopo l’insediamento di Monti, con la giustificazione che i mercati non hanno creduto che egli possa migliorare la situazione economica del Belpaese. L’andamento dello spread, in questo momento, è indipendente dalle persone che governano.
Vero è, però, che l’Europa manca di una vera leadership economica e politica, dal momento che l’insediatosi duopolio Sarkozy-Merkel fa registrare più fallimenti che successi. Da questo punto di vista, per l’Italia nasce una interessante possibilità di giocarsi le proprie carte, in un momento in cui l’asse franco-tedesco sembra brancolare nel buio. Ecco che, allora, la proposta italiana dell’adozione degli Eurobond, sostenuta inizialmente da Tremonti, dovrebbe essere avvalorata anche da Monti davanti ai propri partner europei. Egli dovrebbe convincere la Merkel che l’emissione di titoli obbligazionari da parte della Comunità Europea è anche nel suo interesse, nonostante sia chiaro come la Germania sarebbe la nazione che più di qualsiasi altra dovrebbe sopportare il costo del finanziamento. L’andamento negativo dell’ultima asta dei bund potrebbe convincere però anche i tedeschi più scettici dell’opportunità di adottare gli Eurobond.
Il principale vantaggio di questi titoli, si ricorda, è quello di essere garantiti dalla Comunità nel suo complesso e non da un singolo Stato, cosicché il collocamento degli stessi avverrebbe ad un rischio e, conseguentemente, ad un rendimento più basso. In una Unione Monetaria, dove unica è la moneta e la politica monetaria, è utile cominciare a pensare a come ridurre il peso del debito europeo nel suo complesso, più che a quello dei singoli stati. Certamente, le nazioni con i conti pubblici più in ordine possono (giustamente) storcere il naso all’idea di doversi accollare una parte del risanamento del debito di altri stati.
Ma la conseguenza di non ragionare in termini di debito europeo aggregato non fa che aumentare la volatilità dei singoli mercati azionari e le azioni speculative, che colpiscono, a turno, oramai tutti i paesi. Da questo punto di vista, il processo di integrazione europeo deve passare necessariamente per l’integrazione dei debiti pubblici e dei titoli di Stato. La perdita di sovranità nell’emissione di titoli di debito pubblico potrebbe quindi essere uno dei prossimi passi che gli Stati europei dovranno affrontare. Una perdita significativa, senza dubbio, ma necessaria se si vogliono evitare in futuro crisi finanziarie come quella attuale.