Contro la pubblicità di Benetton con il Papa serve un’obiezione di coscienza

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Contro la pubblicità di Benetton con il Papa serve un’obiezione di coscienza

17 Novembre 2011

La pubblicità della Benetton, che ormai tutti chiamano “del bacio del Papa”, è stanchevole nella sua scontata trasgressione. Trasgredite, trasgredite, qualcosa resterà … Ma anche “trasgredire stanca”. Si trasgredisce ostinatamente perché si è stanchi, perché non si ha più nulla da dire di costruttivo. La trasgressione è la cifra della postmodernità ripiegata su se stessa. Una comunicazione pubblicitaria non creativa ma ripetitiva, costretta a reiterare se stessa nel superamento del limite, una specie di coazione ad agire perché si è finito di pensare. La dissacrazione sistematica alla fine dissacra anche se stessa. Se nulla c’è di sacro, anche dissacrare è banalmente profano e meritevole di una appena fuggevole considerazione. La pubblicità si fonda su miti e simboli, che adombrano più che mostrare, ma se ogni limite viene sfondato anche il mito e il simbolo vengono meno e tutto diventa piatto. Salviamo la pubblicità da se stessa.

Proporre un presunto valore – come l’odio dell’odio – mediante la denigrazione di persone-simbolo, vuol dire scivolare nel qualunquismo meno propositivo che ci sia. Disprezzando le persone simbolo si disprezzano le identità e il reciproco riconoscimento. Si manifesta non un odio dell’odio, ma un odio dell’altro e del reciproco riconoscimento tra altri. Nei baci Benetton tutte le identità sono dissolte e il bacio trasgressivo diventa un’unica identità comune ma genericamente qualunque, genericamente trasgressiva. Baci che non esprimono più nulla, se non l’offesa.

Davanti ai nuovi pulpiti dei cartelloni pubblicitari bisogna fare obiezione di coscienza perché senza pulpiti veri non si può stare. Avevano cominciato gli atei ed agnostici genovesi con gli autobus che pubblicizzavano l’inesistenza di Dio: “La cattiva notizia è che Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”. Era una sfida atea nella città del Cardinale Bagnasco sulla scia di quanto era già successo a Londra, in molte città spagnole, a Washington e in Australia. Poi ci hanno pensato gli autisti: hanno fatto obiezione di coscienza minacciando di non andare a lavorare. E la pubblicità atea è sparita.

A fine febbraio 2011 parte la campagna della Maison Silvian Heach: una modella solleva una microgonna nera mostrando il fondoschiena. Uno dei mega manifesti finisce davanti ad una scuola materna di Milano. Le mamme fanno obiezione di coscienza, vanno su tutte le furie e si mobilitano: il cartellone viene rimosso.

La Nodis, ditta di telefonia di Cinisello Balsamo, è incappata nel muro dell’Iap, l’istituto di autodisciplina pubblicitaria che blocca un suo spot televisivo di un auricolare: un uomo, nella posizione di Cristo in croce, chiede aiuto al Padre mentre gli si avvicina una donna inequivocabilmente agghindata. Ma il blocco c’è stato perché molte coscienze che avevano fatto obiezione avevano protestato.

Lo scorso mese di aprile, in piena campagna elettorale è poi apparso il manifesto pro eutanasia. L’associazione Luca Coscioni chiedeva il 5 per mille tramite un manifesto di 13 metri per 6 in cui un uomo chiedeva di essere lasciato morire in pace. Il caso ha riproposto analoghe iniziative inaugurate in giro per il mondo da Exit International. Poi è arrivata Ikea, con il famoso spot di due uomini visti da dietro che si tengono per mano e lo slogan: “siamo aperti a tutte le famiglie”. Penultimo il manifesto per la Giornata nazionale contro l’omofobia del 17 maggio scorso e ultimo quello dei baci Benetton di ieri.

Obiezione di coscienza vorrebbe dire non entrare più in un Centro Ikea e non comprare più un maglione Benetton. Vorrebbe dire darsi appuntamento sotto il mega manifesto a Castel Sant’Angelo e non spiantarsi da lì fino a che non venga spiantato. Vorrebbe dire sottoscrivere una petizione alle autorità per protestare per vilipendio alla pubblicità prima ancora che alla religione. Vorrebbe dire chiedere tramite una catena di mail al nuovo governo Monti di dare un primo assaggio di attendibilità morale e civile.

In un mondo in cui la bibbia è la strada e i manifesti pubblicitari sono i capitoli di un libro per immagini, le istantanee su pannelli di 23 metri per 6 sfidano la coscienza e aprono nuovi ambiti di obiezione di coscienza. La pubblicità morirà quando non se ne parlerà più e non se ne parlerà più quando essa ci avrà abituato a non reagire più in coscienza. Di dissacrazione in dissacrazione la pubblicità inibisce le coscienze e si suicida. Salviamola dai baci di Benetton, salveremo anche la nostra coscienza.