Contro Mastella e Berlusconi solo ‘inchieste politiche’

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Contro Mastella e Berlusconi solo ‘inchieste politiche’

L’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere sulle pressioni
esercitate dall’Udeur per ottenere nomine gradite nelle Asl e negli altri enti
pubblici campani pone a serio rischio la tenuta del Governo. Con Mastella che invoca
un voto di solidarietà rispetto al suo infuocato intervento alla Camera,
culminato nelle dimissioni da ministro della Giustizia, Prodi appare sin troppo
in bilico sul suo scranno di Presidente del Consiglio per pensare che possa
ritrovare l’equilibrio appoggiandosi temporaneamente anche sulla poltrona di
Guardasigilli.

Nel frattempo, nella vicina Procura di Napoli, viene fuori un
altro sollecito magistrato che chiede di processare Berlusconi con l’accusa di
corruzione per la segnalazione di cinque attrici al dirigente Rai Saccà. Eppure,
già molti anni fa, addirittura prima della bufera di Tangentopoli, l’allora ministro
della Sanità De Lorenzo, che proprio nell’inchiesta di Mani Pulite avrebbe poi
visto completamente esaurirsi, a colpi di avvisi di garanzia e mandati di
cattura, la propria esperienza politica, suggeriva un’efficace soluzione al
problema dell’esasperata ingerenza dei partiti nella gestione dei servizi
pubblici.

I partiti non saranno mai
fuori dalla sanità, come non saranno mai fuori dalle banche pubbliche, dagli
enti pubblici o dai servizi pubblici le cui nomine sono di competenza politica.
Solo privatizzando le aziende di Stato è possibile eliminare le interferenze
dei partiti”
, diceva il Ministro
all’inizio negli anni 90, commentando i dati delle nomine nella sanità
italiana, che vedevano la Dc
dominare la scena con il 46.6% degli incarichi, seguita dal Psi che nei giorni
del suo massimo splendore raggiungeva il 23.8%, ma incominciava ad essere
tallonato dal Pds, appena nato dalle ceneri del Pci e comunque già in grado di
raggiungere il 16.4%.

Da allora non è cambiato molto, al di la delle sigle dei partiti
che si spartiscono le nomine e gli incarichi nelle varie amministrazioni
pubbliche. Le Procure campane hanno lasciato, dunque, che trascorressero circa
18 anni prima di accorgersi improvvisamente che gli enti pubblici italiani
funzionano secondo la logica della lottizzazione.

Tuttavia, più ancora di questo gigantesco ritardo, ciò che
lascia attoniti è il tenore delle singole contestazioni, all’Udeur in un’inchiesta,
e al Cavaliere nell’altra. Dalle migliaia di pagine di intercettazioni sembra,
infatti, in entrambi i casi, che non vengano fuori episodi realmente
significativi.

Come è possibile, allora, che dei magistrati scatenino delle
vere e proprie bufere politiche, prima ancora che giudiziarie, sulla base di
vicende del genere? Come fanno i vari commentatori a mostrarsi improvvisamente
indignati di fronte a un meccanismo che pure conoscono da sempre e di cui, in
molti casi, sono stati essi stessi parte integrante?

Non è per mano giudiziaria che il nostro Paese può mettersi alle
spalle l’esperienza della lottizzazione degli enti pubblici. Semmai, come
sentiamo dire da ormai troppo tempo, dovrebbe essere il Parlamento a decidere
di organizzarsi secondo un modello diverso, in grado di privilegiare la
meritocrazia sino al punto di sacrificare anche l’appartenenza politica. Forse
un modello del genere non può esistere davvero, almeno non in Italia. Di certo,
tuttavia, è assurdo ritenere che un freno all’invadenza della politica possa
giungere da un comportamento speculare della magistratura che, quando si occupa
di argomenti privi di ogni rilievo penale, invade a sua volta i settori di
competenza di altre componenti dello Stato.

Se è vero che la nostra Politica ha un atteggiamento spesso
bulimico, che la porta a soffocare molti settori della società, è infatti
altrettanto chiaro che in Italia c’è una parte della magistratura che sottrae
tempo e risorse alla lotta ai reati veri, allo studio delle reali emergenze
sociali, e che, in definitiva, fa politica, a prescindere dalla circostanza,
ispirata da un indirizzo più o meno preciso e orientato.
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Non c’è, dunque, bisogno di arrivare a teorizzare dei complotti
per cogliere la dimensione effettiva di quanto sia urgente una riforma dell’assetto
dei principali poteri dello Stato, che lo renda finalmente adeguato ad uno dei
più intensi principi di democrazia sanciti dalla nostra Costituzione:
l’equilibrio tra politica e magistratura.