Coronavirus, ecco come il neuromarketing ci aiuta a capire le scelte del consumatore
28 Maggio 2020
L’economia globale è sottoposta a dura prova. Lo scrivono tutti i giornali e lo confermano i dati in circolazione in queste ore: da marzo in poi, si è abbattuto un vero e proprio tsunami su ordinativi e consumi, con una conseguente riduzione di tutto ciò che viene considerato superfluo, eccezion fatta per i servizi legati alla tecnologia e al digitale. Conseguenza quest’ultima del confinamento forzato cui siamo stati sottoposti negli ultimi mesi. Le file davanti ai supermercati per accaparrarsi lievito, olio, pasta e farina sono un lontano ricordo e attualmente la spesa alimentare è tornata a far parte della normale routine degli italiani. Tuttavia, siamo ancora in una fase emergenziale e il virus non è affatto sconfitto, anzi.
Alcune persone pensano ancora che le merci potrebbero scarseggiare e, di conseguenza, acquistano ingenti quantità di beni primari: pasta e farina in primis, come si è detto. Per analizzare questo genere di comportamenti, occorre fare ricorso alla scienza economica, in particolare ad un settore di essa che è il marketing.
Com’è noto, la pubblicità influenza nettamente le scelte del consumatore. E, in tempi straordinari come quelli attuali, scegliere cosa comprare diventa fondamentale. Non a caso, secondo gli studiosi del marketing emozionale, addirittura il 95% dei nostri acquisti sarebbe dettato dalle nostre emozioni. Anche in economia, il sentimento la farebbe da padrone, lasciando poco spazio ad altri criteri in grado di orientare la nostra spesa. Philip Kotler, colui che a ragione viene considerato il pioniere del marketing sociale, in uno dei suoi numerosi lavori, scrive che “la maggior parte delle industrie nel mondo è in grado di produrre una quantità di beni ben maggiore di quanto i consumatori siano in grado di acquistare”.
Si tratta di un assunto fondamentale in grado di aiutarci a capire meglio cosa stia accadendo soprattutto nel settore della grande distribuzione organizzata. Kotler in merito non ha dubbi: il sistema è in grado di reggere perché produce più merci di quanto il consumatore finale ne acquista. Allora la corsa alla spesa, come si è verificato durante il lockdown, sarebbe stata dettata solo dal panico e dalla paura. Che in epoca di crisi economica, sociale e sanitaria si impadroniscono delle persone. Dunque il neuromarketing – quella branca del marketing in grado di arrivare fino alla psiche del soggetto che consuma – influenzerebbe (e non di poco) i nostri comportamenti. Si acquista più di ciò che effettivamente serve, con il risultato che le nostre dispense sono piene di beni di cui dobbiamo disfarci.
Sarebbe il caso che questa crisi ci insegnasse invece a risparmiare: non solo sulla spesa, ma anche sulla necessità irrefrenabile di avere qualcosa di nuovo in casa. Qui non serve certo Kotler per spiegarci che i nostri comportamenti dovrebbero essere orientati al buonsenso e non tesi a fagocitare tutto ciò che ci circonda. Se le industrie possono produrre merci in abbondanza, perché preoccuparsi?
L’angoscia è frutto della nostra mente: teniamola a bada o ci divorerà.