Cosa c’è di buono nell’Italicum

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Cosa c’è di buono nell’Italicum

03 Maggio 2015

Ha fatto bene o ha fatto male il governo a porre la questione di fiducia sulla nuova legge elettorale? Per rispondere a questo quesito non credo sia utile ragionare in termini di precedenti o compulsare la più aggiornata dottrina in materia ma occorra, invece, riconsiderare le condizioni politiche di questo momento.

Il disegno di legge sul sistema elettorale attualmente in votazione ha luci ed ombre. Contiene però due elementi qualificanti che fanno prevalere di molto le luci sulle ombre. Anzitutto il premio di maggioranza (che non è estesissimo) viene assegnato al partito che ha avuto più voti e non alla coalizione. Fatto che ostacola sanamente le ammucchiate eterogenee che servono a vincere le elezioni ma che sono un ostacolo insormontabile al governare, come abbiamo sperimentato fin troppo di frequente nelle passate legislature.

Basti pensare all’esecutivo Prodi del 2006-2008 o a quello Berlusconi del 2008-2011. A questa prima disposizione qualificante ne è collegata un’altra. Nel caso in cui il primo partito non arrivi alla soglia del 40% dei consensi, è previsto un ballottaggio tra i primi due partiti. Si tratta di una regola che scoraggia pesantemente le dinamiche disgregative e/o trasformistiche e che, per converso, incoraggia, su entrambi i lati dello schieramento politico, la creazione di partiti a vocazione maggioritaria. In sostanza, la legge elettorale in approvazione è infinitamente preferibile alla legge, puramente proporzionale, che abbiamo oggi. Quella cioè che risulta dal lavoro di ritaglio operato dalla Corte costituzionale con la sentenza del 2014.

Occorre poi considerare che siamo sempre in un regime di bicameralismo paritario. Il testo in votazione è quello che in Senato è stato approvato anche da Forza Italia, quando era ancora vigente il patto del nazareno. Se fossero apportate modifiche al testo che è al voto della camera ricomincerebbe la navetta con Palazzo Madama, dove i numeri per mantenere i punti qualificanti della legge sarebbero davvero molto stretti.

Questa che stiamo enunciando non è un’ipotesi di scuola, ma è uno scenario molto verosimile. In particolare, la minoranza del Pd voleva  a far votare, a scrutinio segreto, un emendamento che spostava il premio di seggi dal partito alla coalizione. Un emendamento su cui si sperava (con buone probabilità di successo) di far registrare una convergenza trasversale, sconvolgendo la nuova legge elettorale nel suo aspetto più significativo.

Una simile battuta di arresto avrebbe obbligato il governo a un nuovo negoziato con la minoranza del Pd e anche con l’opposizione (Forza Italia anzitutto), con il rischio di passi indietro anche sul  versante della riforma del bicameralismo paritario attualmente in itinere, che richiede, come sappiamo, un lungo e defatigante percorso di approvazione (quattro "letture" da parte delle due camere).

Riconsiderata in questo scenario complessivo, la scelta del voto di fiducia non appare una forzatura dettata da una inconsulta brama di dominio, ma si presenta come una scelta pressoché obbligata per salvare quello spirito riformatore che costituisce la ragion d’essere di questo governo.