Cosa c’è dietro ai prezzi da record dell’oro nero

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Cosa c’è dietro ai prezzi da record dell’oro nero

02 Novembre 2007

Anche il petrolio è caduto sotto l’influenza diretta del sistema finanziario. Il 51% del mercato a termine è gestito dall’Intercontinental Exchange (ICE), che a sua volta è controllato per più del 35% dagli “ Hedge Funds”, fondi speculativi americani , e per un altro 20% da banche e fondi di investimento vari. Tutto ciò per dire che l’Opec, tradizionale cartello dei Paesi produttori di petrolio, probabilmente non è più determinante nel fissare i prezzi del petrolio. %3Cbr />

Il prezzo del barile sta tendendo ai 100 dollari. Normalmente diamo la colpa alla cecità dei Paesi produttori: la verità è che il mercato è più complicato di quello che appare (confronto tra domanda variegata, talvolta concorrente e spesso politicamente contrapposta: e offerta tendenzialmente organizzata): ci sono i traders, i commercianti, che acquistano e rivendono, e che cominciano ad essere nelle mani dirette del sistema finanziario internazionale. È altresì vero che la strada del petrolio, dal produttore al consumatore, è lastricata da mille trappole, più o meno importanti. La raffinazione dell’oro nero, è complicata , in termini logistici (chi più vuole raffinerie sotto casa?) e politici (chi raffina, può avere “preferenze”, non solo economiche, nel vendere, in un mercato del venditore). Le reti di trasporto del prodotto, bruto o raffinato, stanno in mille mani, imprenditoriali e geo-politiche: c’è per esempio chi pensa che le tensioni tra Turchia e Curdi-Iraq, possano trasformarsi in un blocco distributivo di una quota importante di petrolio e quindi costituire una delle concause degli attuali aumenti del prezzo del barile. In ogni modo il trasporto del prodotto in genere può costituire una strozzatura del mercato petrolifero.

Ci sono i grandi nuovi consumatori di petrolio sempre più affamati, considerati i loro ritmi di crescita economica: a cominciare dalla Cina: basti pensare a tal proposito , che su 18 milioni di barili/giorno, prodotti nell’area del golfo persico, più di 12 milioni vanno già a finire in Cina. Ci sono molti Stati che con la scusa di scoraggiare gli usi o gli abusi dei consumi petroliferi (scusa più o meno corretta), aggiungono gabelle su prodotti ormai di larghissimo consumo, costruendo così “tesoretti” statali , sulle spalle dei petrolieri e dei produttori. Insomma un litro di benzina o di gasolio o un metro cubo di gas, si porta addosso tutti questi problemi, dagli interessi degli speculatori finanziari ,fino ai “tesoretti”, di nostra diretta conoscenza (o no?). Dove andremo a finire?

Le riserve petrolifere continuano a dare sorprese positive e a non diminuire, anche grazie a nuove tecnologie di ricerca, di perforazione e di estrazione. Ma scambiando le tendenze in destini, si diventa solo poeti. Quindi dobbiamo non solo pensare, ma lavorare per il dopo petrolio. In energia i tempi sono lunghi, lunghissimi e quindi siamo tutti in gravissimo ritardo. (Forse lo sono meno i cinesi, che continuano a bruciare le immense quantità di carbone che hanno, ammazzandosi di inquinamento, prima di metter mano a probabili grandi giacimenti petroliferi, che molti ritengono esistere in quel continente, chiamato Cina).

Esperti ritengono che dopo questa fiammata il barile di petrolio dovrà assestarsi attorno ai 60 dollari. Significa moltissimo in termini di economia congiunturale: non significa nulla in termini di sistemi economici strutturati. Se un sistema continua ad essere strutturalmente petrolio-dipendente, senza avere la certezza di poterne disporre quando vuole e a costi compatibili con la sua esistenza, esso è condannato ad una crisi senza soluzione. L’Italia si è attaccata al carro europeo e non poteva fare altrimenti: e quindi ci sono buone speranze di tener lontane possibili catastrofi, legate al mondo degli idrocarburi. Ma addormentarsi sulle spalle continentali, è assolutamente privo di senso: per fatti politici, ma anche per problemi tecnici legati ai sistemi energetici, sempre molto complessi. Quindi ci vogliono scelte, decisioni: la buona volontà ci può anche essere: per il resto non ci resta che… ridere, essendo buontemponi.