Cosa ci conviene fare adesso in Libia
01 Giugno 2014
Ieri le navi della Marina Militare italiana impegnate nell’operazione Mare Nostrum hanno salvato e soccorso altri 3mila e passa migranti partiti dalla Libia per raggiungere l’Europa. Siriani, eritrei, uomini e donne provenienti dall’Africa. Secondo i dati diffusi della Agenzia Frontex, tra febbraio e aprile del 2014 il corridoio libico è stato la principale fonte di flussi migratori in Europa, con oltre 27 mila arrivi, tutti in Italia. Sappiamo che tanti stranieri vengono prima trattenuti in Libia e magari usati come manodopera interna nel Paese per poi essere ‘ripagati’ con un biglietto di sola andata verso l’Europa.
Il 27 maggio scorso, il ministro degli esteri italiano Federica Mogherini ha detto che "per gestire il transito dei flussi e dei richiedenti asilo" dalla Libia "il primo obiettivo è avere un governo stabile" a Tripoli. Nei giorni precedenti, il premier Matteo Renzi aveva spiegato a Ban Ki Moon che un eventuale "intervento in Libia" per l’Italia avrebbe "un valore economico e civile". Nelle scorse settimane, il ministro dell’interno Alfano, vicepremier nel governo Letta, ha proposto lo spostamento della sede di Frontex, l’agenzia delle frontiere europea, da Varsavia all’Italia, e di portare direttamente in Libia la macchina umanitaria per gestire i flussi dai Paese di partenza dei migranti.
Dopo il voto (anti)europeo, il successo della destra francese e dell’Ukip inglese di Nigel Farage, agli occhi degli Usa probabilmente oggi l’Italia è il partner più affidabile nella gestione del rompicapo libico, ovvero la guerra per bande che si è scatenata nel Paese dopo la morte di Gheddafi bloccando il processo di nation building (elezioni, nuova carta costituzionale, eccetera). Del resto fu proprio il presidente americano Obama, incontrando Enrico Letta, a chiedere all’Italia di impegnarsi di più per la stabilizzazione del Paese nordafricano, nonostante la ritrosia americana e il rapido sgombriamo le fila dei Paesi europei che più avevano spinto per il regime change. Di recente abbiamo osservato significativi movimenti di truppe Usa, come i 200 Marines spostati dalla amministrazione americana nelle basi in Sicilia. L’Europa ha ‘schierato sul campo’ la missione Eubam Lybia, con personale civile ma anche dei militari in congedo come consulenti (ci sono pure "contractors" delle società internazionali).
Occorre allora tenere d’occhio cosa sta accadendo in Libia mentre scriviamo. Dopo l’operazione condotta dal generale in congedo Khalifa Hifter a Tripoli e Bengasi, il 18 maggio scorso, il militare che piace alla Cia è emerso come l’uomo forte della Libia orientale. Hifter sembra godere del sostegno dei Paesi arabi che vogliono contrastare l’insorgenza islamista del Paese: Algeria, Egitto, sauditi, Emirati Arabi, tutti, per diverse ragioni, sia economiche che geopolitiche, sono interessati a sostenere il presunto coup di maggio. Come pure lo sono gli Usa e potrebbero esserlo alcuni Paesi europei per evidenti ragioni che riguardano ad esempio la produzione di petrolio. Ma Hifter riuscirà nel suo personalissimo "surge" antijihadista? Da solo è improbabile, nonostante sia riuscito a mettere insieme un variegato ed ampio fronte interno di milizie, forze della polizia e della sicurezza, militari libici. Che apporto stanno dando o possono dare effettivamente gli Stati arabi, gli Usa e i Paesi europei, al processo in atto?
Per ora i rumors ci dicono che personale militare egiziano sarebbe già dispiegato nella parte orientale della Libia e che il Cairo potrebbe aver fornito assistenza al generalissimo, carri armati, artiglieria pesante, lanciarazzi, mortai. E’ necessaria una conferma delle voci che circolano, dobbiamo valutare che tipo di armamenti può usare Hifter e che volume di fuoco ha il suo esercito. Hifter ha ‘commissariato’ il Congresso libico, profondamente diviso, accelerando verso un nuovo voto nazionale previsto per la fine del mese di giugno. E’ sua intenzione colpire i santuari jihadisti nel Paese. La milizia del Generale oggi è probabilmente la forza militare dominante nell’Est della Libia. Bisogna chiedersi se e come va sostenuta, considerando ciò che abbiamo detto sulla ‘benedizione’ americana e il sostegno militare egiziano e in virtù del fatto che nelle prossime settimane il generalissimo potrebbe sferrare un’altra e definitiva offensiva.
Più in generale, per l’Italia occorre ragionare sul fatto che finché l’Unione Europea non si sarà dotata di una nuova Commissione, di un nuovo presidente della Commissione e del successore di Lady Ashton come Alto Rappresentante per la politica estera, le nostre richieste, pur sacrosante, di un maggior interventismo di Bruxelles in Libia rischiano di essere vanificate dalle complesse e lunghe procedure di insediamento dei nuovi poteri europei. Ma la frontiera con la Libia resta aperta e i migranti continuano ad arrivare a migliaia. Varrebbe forse la pena, allora, d’accordo con l’alleato americano, intensificare le relazioni con i Paesi del mondo arabo che abbiamo elencato, l’Egitto, certamente, ma anche gli Emirati Arabi Uniti, che in passato (si pensi agli Uae) hanno partecipato coraggiosamente a difficili missioni di pacificazione come in Kosovo. Il problema al momento sembra dover sostenere Hifter senza irritare le forze che siedono nel Congresso libico e che vedono nel generale un pericoloso avversario della transizione ‘democratica’. Una mediazione difficile.