Cosa insegna la Russia di Putin all’Europa sulla Turchia
29 Novembre 2016
Che la “politica estera” della Ue sia una contraddizione in termini lo dimostra la visita di mercoledì 29 a Bruxelles del ministro turco per gli affari europei Celik. L’emissario di Erdogan si appresta a incontrare il vicepresidente della Commissione, Timmermans, e i commissari su migrazione e sicurezza, subito dopo il voto dell’Europarlamento che ha congelato (temporaneamente) il processo di adesione della Turchia all’Unione Europea. L’Europarlamento vota contro la furiosa repressione scatenata dal presidente Erdogan a seguito del fallito colpo di stato dell’estate scorsa? Decine di migliaia di arresti, università e scuole chiuse, l’opposizione spazzata via insieme ai giornali scomodi, non sono abbastanza per negare un incontro a Celik.
Il ministro turco arriva a Bruxelles con i soliti toni concilianti: la risoluzione dell’Europarlamento “è la più ingiusta della storia”, la Ue “non è oggettiva”, manchiamo di “empatia” verso Ankara. I toni del suo capo, Erdogan, sono ancora più dialoganti: “Non abbiamo ancora chiuso il libro dalla Comunità Europea. Tuttavia, nessuno si scordi che la Turchia vanta altre alternative” e cioè la Russia e la Cina, con cui entrare nella Shangai Cooperation Organization com’è già stato annunciato. Così, mentre la repressione in patria continua indisturbata, Erdogan e Celik aggirano il voto dell’europarlamento e riescono a incunearsi nelle divisioni interne all’Unione. La pretesa è avere subito i visti per i turchi che vogliono entrare e girare liberamente in Europa.
La Germania – grande sponsor dell’accordo sui migranti con Erdogan (quasi un miliardo di euro già versati da Bruxelles) – certo non chiude la porta in faccia al ministro turco, anzi. Per non dire di noi italiani, che abbiamo pagato più degli altri Paesi europei l’accordo capestro con Ankara (chiuso il “corridoio balcanico” dei migranti si è riaperto in grande stile quello di Lampedusa), ma che preferiamo comunque tenere la porta socchiusa, basta ascoltare le ultime dichiarazioni in merito del ministro degli esteri Gentiloni. Sembra che gli unici rimasti davvero interessati a un ingresso di Ankara in Europa siano proprio gli europei!
Perché diciamoci la verità, ad eccezione della risoluzione dell’Europarlamento, Bruxelles non ha fatto niente di concreto per far capire ad Erdogan, nostro alleato nella NATO, che la democrazia non funziona con le regole che vuole dargli il capo del partito islamico al potere Ankara. Da qui un’altra dichiarazione, attribuita dai giornali israeliani al ministro della Difesa di Gerusalemme, Avigdor Lieberman, per cui “l’Europa avrebbe bisogno di imparare da Putin come trattare il presidente Erdogan”.
E già, perché subito dopo l’abbattimento del jet russo che aveva sconfinato al confine tra Siria e Turchia, Vladimir Putin ha, nell’ordine, fatto pressioni militari sul potente vicino, imposto sanzioni economiche contro Ankara, e sospeso il progetto Turkish Stream per la costruzione di un gasdotto che dovrebbe portare metano russo in Europa via Anatolia e Mar Nero. Putin ha vinto in poco tempo il braccio di ferro con Erdogan: ci sono stati altri ‘sconfinamenti’ ma i jet russi non sono più stati abbattuti, anzi, abbondano le telefonate chiarificatrici tra Ankara e Mosca sull’avanzata di Assad in Siria, che Ankara, perlomeno in teoria, voleva contrastare.
Erdogan si è fatto in quattro per normalizzare le relazioni diplomatiche con il Cremlino, visita a Mosca compresa, fino all’accordo del 10 ottobre scorso, sempre sul gas, che non cancella le antiche ruggini tra i due Paesi ma dimostra qual è la lingua che capisce meglio il presidente turco. Una lingua che nelle relazioni internazionali Putin continua a parlare dimostrando di avere quella iniziativa politica che invece manca del tutto alla politica estera europea. Grande pragmatismo, unito a una forza, fermezza e determinazione da mettere i brividi. Ecco cos’è che insegna la Russia di Putin all’Europa sulla Turchia.