Cosa insegnano voti, percentuali e ballottaggio (mancato) alla destra romana

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Cosa insegnano voti, percentuali e ballottaggio (mancato) alla destra romana

08 Giugno 2016

I risultati ed i relativi commenti alle elezioni comunali a Roma offrono la possibilità di verificare in diretta l’assurdità di una politica che piuttosto che affrontare la realtà preferisce raccontarsi altro. Rimaniamo, per comodità ed appartenenza, nella metà campo del centrodestra. In una città sfregiata da indagini ed amministrazioni al limite del paranormale, questo schieramento paga le sue divisioni, i suoi tentennamenti ed una incapacità ad interrogarsi sui suoi evidenti deficit e ad immaginare la nascita di un nuovo grande progetto, inclusivo, capace di dare una reale prospettiva di governo.

Come troppo spesso è accaduto, invece di ragionare sui dati si cerca, perseguendo una  logica miope, di capitalizzare su presunti successi, ignorando un quadro generale drammatico. Ed allora se è giusto che la Meloni con il suo 12% di lista ed un 20% di coalizione sia soddisfatta della sua performance, dovrebbe, se lo ha veramente a cuore, iniziare a scrivere una pagina nuova della politica nazionale e, quindi, iniziare a lavorare per contribuire a creare un progetto a vocazione maggioritaria, come pure altrettanto obiettivamente valutare il  peggior risultato della destra dal ’94 ad oggi nella Capitale.

E questo da qualsiasi angolazione la si guardi: percentuali, voti assoluti e, dulcis in fundo, esclusione dal ballottaggio. Perché anche sommando i valori delle due liste riconducibili al centrodestra, oltretutto con una quantità di votanti molto bassa, si otterrebbe un risultato che, complessivamente, fotografa una situazione semicomatosa.

Se poi, come è piaciuto fare a qualcuno fin dall’inizio di questa storia, si escludesse il consenso della lista Marchini, il risultato percentuale sarebbe un 25% che fa ben comprendere la crisi in cui versa questo schieramento. Tutto questo è sotto i nostri occhi e, purtroppo, in questa politica fatta di apparenze e personalismi, una sconfitta con tanta pubblicità vale più di una reale speranza  di vittoria.

Più importante, evidentemente, poter posizionare 4 o 5 consiglieri comunali, avere una percentuale che permetta di avere un po’ di agio in vista delle elezioni  nazionali, avere un luogo dove poter dire ‘conto qualcosa’, piuttosto che porsi il problema di come rilanciare un progetto credibile, capace di dare forza reale, vera ad un centrodestra, da anni oramai, malato grave. Come altrettanto chiaramente si dovrebbe avere il coraggio di ammettere che la corsa della Meloni verso il Campidoglio, anche se fosse approdata al ballottaggio, è sempre stata una corsa a perdere e che nel suo proporsi parla di tutti i limiti ed i problemi di un centrodestra incapace di dare un respiro ampio alla sua azione.

Dal livello nazionale a quello locale  non esiste un progetto comune, a fronte di divergenze politiche importanti, che nessuno si premura di affrontare, al pari della contestuale crisi di consenso. Questi i problemi che uno schieramento politico, fatto da persone responsabili, si dovrebbe porre. Vogliamo costruire una macchina politica vocata alla mera protesta, oppure, uno o più soggetti politici capaci di dare una reale alternativa alla sinistra e alle parole in libertà del movimento 5 stelle?

In conclusione, commentare questa tornata amministrativa con la tiritera che il centrodestra unito vince e diviso perde, oppure, che i personalismi hanno ucciso il centrodestra è la solita banalità o, se preferiamo, mezza verità dietro la quale c’è un pauroso vuoto sia sul piano dell’analisi che della proposta politica. Con gli slogan, le boutade, le battute e le invettive si può, nell’immediato, capitalizzare un discreto successo di consenso e politico ma, prima o dopo, la realtà arriverà a fare giustizia di tutto.