Cosa nasconde lo scontro tra il Pd e Chiamparino su Intesa-Sanpaolo
05 Maggio 2010
E’ uno strappo profondo, profondissimo quello che sta interessando il Partito Democratico in queste ore. Una sorta di duello al sole, consumato a colpi di dichiarazioni e virgolettati certo non mediati dalla comune appartenenza allo stesso ceppo politico ma addirittura amplificato da quella che appare sempre più come una diversità quasi antropologica tra due anime della formazione di Via del Nazareno.
Il ring su cui i contendenti si confrontano è quello torinese dove è in corso un’altra resa dei conti: quella ai vertici della Compagnia di San Paolo, principale azionista di Intesa-Sanpaolo, con tredici consiglieri su ventuno – la maggioranza quindi – decisi a verificare la sussistenza del rapporto di fiducia con il loro presidente, Angelo Benessia. Tutto questo in coincidenza della prima riunione del consiglio di sorveglianza della banca svoltasi ieri. In coincidenza, quindi, con l’annuncio dei membri del comitato nomine deputati a proporre consiglieri e vertici del consiglio di gestione. Una partita di potere.
Quello che è chiaro è che all’ombra della Mole si consuma uno scontro frontale tra il sindaco di Torino Sergio Chiamparino – che si era impegnato per la candidatura di Domenico Siniscalco al vertice del consiglio di gestione della banca – e la segreteria del partito. Un botta e risposta non certo ammantato di toni criptici. “Il Pd in questa vicenda si è dimostrato subalterno ai poteri forti” attacca il primo cittadino torinese. “Il pasticcio l’ha combinato Chiamparino” ribatte Enrico Letta. “Invece di una doverosa assunzione di responsabilità rispetto agli errori fatti che già hanno danneggiato la sua città e la più grande banca italiana, il rilancio di Chiamparino tenta di scaricare le responsabilità sul Pd”. La disfida, in realtà, riguarda oltre agli equilibri di potere della banca, il futuro assetto del centrosinistra insieme alle prospettive politiche di Torino che nel 2011 tornerà alle urne per designare il nuovo sindaco.
La fotografia degli assetti interni è facile da scattare. Da una parte c’è il Partito Democratico targato Bersani che continua a riconoscersi nel grande banchiere cattolico Giovanni Bazoli, considerato uno dei padri dell’esperienza dell’Ulivo prodiano, e non vuole mettere il dito negli equilibri bancari del Nord, scardinando determinate sicurezze. Per questo non fa mistero di preferire la continuità rappresentata da Enrico Salza. Naturalmente c’è anche un altro aspetto che pesa sull’atteggiamento tenuto in queste ore dai vertici del Pd, una sorta di riflesso psicologico da parte della generazione dei leader sessantenni che cerca di stare alla larga dalla questione visto che i postumi del 2005 e di quell’ “abbiamo una banca” finito su tutti i giornali è ancora inciso nell’immaginario dei protagonisti di allora e di oggi.
Dall’altra parte c’è, invece, il “partito del Nord”, un’onda anomala che fa ancora fatica ad alzarsi e trovare un’identità precisa ma che aspira a una conformazione federale e a una declinazione più moderna del rapporto con i ceti produttivi, oltre a immaginare un rapporto più stretto delle banche con il loro territorio di riferimento. Una linea che sposa chiaramente la tesi che la politica non può rinchiudersi in se stessa, facendo finta che gli interessi economici non esistano, e che rivendica il diritto ad occuparsi delle fondazioni e del rapporto con il territorio, tanto più dopo che le fallimentari scelte del Pd nell’Italia settentrionale – che hanno contribuito alla cancellazione del Partito democratico in tutta la “Padania” – hanno riscritto gli equilibri di potere in tutta l’area economicamente più attiva del Paese.
E’ lo scontro di due mondi e l’apertura di una questione che riguarda il futuro del centrosinistra italiano e la sua stessa sopravvivenza. Una dialettica tutt’altro che episodica, insomma, che alla prova dei fatti vede almeno in questo primo round prevalere l’asse Bersani-Letta sull’opzione Chiamparino vista la caduta della candidatura Siniscalco.
E’ evidente, però, che l’operazione lanciata dal sindaco di Torino ha un respiro più ampio e punta a rafforzare una leadership che dopo il 2011 potrebbe percorrere tre strade: puntare a una sorta di segreteria del partito del Nord; spostarsi a Roma per diventare coordinatore nazionale del Pd o addirittura percorrere la via maestra della candidatura alla premiership nel 2013.
Una scalata verso il cielo costellata di ostacoli e messa a repentaglio, secondo alcuni, dalle scottature che la vicenda Intesa-Sanpaolo avrebbe lasciato sulla pelle di Chiamparino in queste ore.