Cosa non si fa per un endorsement

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Cosa non si fa per un endorsement

29 Novembre 2007

Aspettando i voti veri (si inizia l’8
gennaio con le primarie nel New Hampshire) i candidati alla Casa Bianca fanno
incetta di endorsement, ovvero le
dichiarazioni di sostegno da parte di esponenti politici o celebrità.

Non
importa che ad ogni tornata elettorale i sondaggi dimostrino la quasi
irrilevanza ai fini del voto di queste manifestazioni d’affetto (spesso
interessato). Nessuno degli aspiranti presidenti sfugge alla tentazione di
avere dalla propria parte il campione sportivo o la star di Hollywood.

I mass
media americani tengono il conto degli endorsement
in modo meticoloso.

i scopre così che alla fine di novembre (ovviamente, il
dato è destinato a cambiare) sono 71 i parlamentari democratici dichiaratisi in
favore di Hillary Clinton (tra loro anche il benaugurante senatore Whitehouse).
Segue Mitt Romney con 33 membri del Congresso in forza al partito Repubblicano.
Poi, John Mc Cain (28, di cui ben 8 senatori), Barack Obama (27, tra i quali
tantissimi deputati provenienti dal “suo” Illinois) e Rudy Giuliani (25).
Significativa la presenza, tra gli sponsor politici del Sindaco d’America, di un plotoncino di quattro deputati il cui
cognome tradisce le origini italoamericane (Bono, Fortuno, Fossella e
LoBiondo).

La tradizione vuole che anche i lobbisti di Washington e i grandi
magnati dell’economia manifestino pubblicamente la propria preferenza per un
candidato.

Hillary Clinton, per esempio, annovera nella sua endorsement list il colosso della
telefonia AT&T, il gruppo informatico Honeywell e la banca Citigroup.  Meno
ricco il portafoglio di Rudy Giuliani, appoggiato ufficialmente, tra gli altri,
dalla Toyota, dal gruppo dirigente dell’American
Continental
e dal mega studio di avvocati Barbour Griffith & Rogers. I sindacati sono invece ad
appannaggio del democratico John Edwards. L’ex senatore della South Carolina,
figlio d’operai, s’è assicurato il sostegno dei metalmeccanici (United Steelworkers Union) e di una
buona parte del sindacato degli impiegati pubblici.

Fino ad ora, l’endorsement politicamente più significativo è stato quello del
leader della destra religiosa, Pat Robertson, per Rudy Giuliani.

Un sostegno a
lungo cercato da The Mayor, che per le sue posizioni liberal incontra più di qualche ostacolo
nel far breccia nei cuori dei conservatori del Grand Old Party.

Degno di nota anche il sostegno che l’ex candidato
repubblicano Sam Brownback ha voluto manifestare, una volta uscito dalla corsa,
al senatore John McCain. Di per sé, Brownback non sposta molti voti, ma il
fatto che abbia appoggiato un candidato in difficoltà come McCain ha
rappresentato per il senatore dell’Arizona un’iniezione di fiducia, il
riconoscimento che la partita non è ancora finita. D’altro canto, l’ex veterano
del Vietnam si è anche aggiudicato il sostegno di ben quattro ex segretari di
Stato, tra cui Henry Kissinger.

Sul fronte opposto, per farsi perdonare dalla
sinistra del suo partito il voto in favore della guerra in Iraq, Hillary
Clinton ha cercato e ottenuto l’endorsement
dell’ex candidato democratico alla presidenza George McGovern, che nel 1972
sfidò Nixon con un programma improntato al pacifismo. Questi, dunque, alcuni
dei più significativi endorsement
politici. Tuttavia, a destare maggiore attenzione nell’opinione pubblica sono
gli endorsement delle celebrità. Un
ambito nel quale i Democratici la fanno da padrone.

La ex First Lady ha incassato l’appoggio di Steven Spielberg, ma è Barack
Obama la vera star degli endorsement.
Metà Hollywood tifa per il candidato afroamericano: da George Clooney a Matt
Damon, dal socio di Spielberg, David Geffen, a Brad Pitt al quale, tuttavia, lo
staff di Obama ha chiesto di non impegnarsi troppo per il senatore
dell’Illinois. Obama si candida ad abitare alla Casa Bianca, quella vera, non
ad una parte nella serie cult sulla
presidenza, “West Wing”. Questo il ragionamento che devono aver fatto
nell’entourage di Obama, che tra l’altro conta anche sull’appoggio della regina
dei talk show, Oprah Winfrey.

Poco nota al pubblico italiano, negli States
l’afroamericana Winfrey parla ogni settimana a ben 49 milioni di
telespettatori. Proprio l’appoggio di Oprah ha destato grande interesse da
parte degli analisti dei flussi elettorali. L’uditorio della Winfrey è
rappresentato, per la maggior parte, da donne della middle class, tra i 24 e i 54 anni. Proprio quel segmento di
elettorato in cui Hillary surclassa Obama, che perciò spera in un intervento
della “divina Oprah”.

In campo repubblicano, Giuliani vanta l’endorsement di Yogi Berra, leggenda del
baseball negli Yankees di New York, che ha esordito ad un comizio affermando:
“Vogliamo un presidente italiano”.

Particolarmente eclettici gli endorsement in favore dell’outsider
repubblicano Mike Huckabee. Per l’ex governatore dell’Arkansas si sono espressi
Chuck Norris, il celebre “Walker Texas Ranger”, e il campione di wrestling (a
dire il vero, un po’ stagionato) Ric Flair. C’è poi la pagina degli endorsement “ancora da assegnare”. Il
presidente al momento non si pronuncia. Intanto, (la cosa non ha mancato di far sorridere) Giuliani ha ricevuto l’endorsement di Jeb Bush jr, figlio
ventenne del governatore della Florida e nipote di George W. Bush.

Nel partito
Democratico, invece, è aperta la caccia all’appoggio di Al Gore (“Goreacle” –
“il Goracolo”), che in un paio d’anni
ha messo nella sua bacheca un Oscar e un Nobel. Eppure, ai candidati
democratici non dovrebbe sfuggire quanto successe alle ultime presidenziali.
L’ex governatore del Vermont, Howard Dean, sembrava imbattibile. A pochi giorni
dalle primarie, tutti i sondaggi lo davano in testa. Poi, arrivò l’endorsement di Al Gore e, nel giro di
qualche settimana, Dean fu costretto a ritirarsi, travolto da una serie di
errori grossolani. Meditate gente.