Cosa non vi diranno se il rating dell’Italia scende
06 Gennaio 2017
Alla fine, la crisi del Monte dei Paschi di Siena potrebbe costare molto di più degli 8,8 miliardi di euro richiesti da Francoforte come aumento di capitale. A far lievitare il conto potrebbe essere il declassamento del debito italiano da parte di Dbrs, una delle quattro agenzie di rating che esprimono pareri sull’Italia. Tutto parte da una domanda che si pone Politico, il giornale online americano che ha una sede anche a Bruxelles, con la sua newsletter dedicata ai mercati finanziari: cosa accadrebbe se il 13 gennaio prossimo il rating dell’Italia venisse declassato? Quanto costerebbe in termini reali un peggioramento del voto sul debito pubblico italiano da A a BBB, da debito di buona qualità a qualcosa di meno?
La risposta la dà uno studio di un analista interno a Jp Morgan, riportato sempre da Politico. Il “danno” che ne deriverebbe sarebbe di 30 miliardi di euro di minore liquidità potenziale al sistema finanziario italiano. Il motivo è presto detto. La Banca centrale europea, infatti, prende in considerazione il migliore tra i quattro rating per procedere negli acquisti di titoli di debito pubblico e privato sul mercato secondario (il famigerato Quantitative Easing). Oggi come oggi l’Italia gode degli stessi trattamenti dei Bund tedeschi da parte della Bce. Ma, semplificando al massimo, il giorno dopo il downgrade i titoli di debito pubblico depositati a Francoforte subirebbero un “haircut”, una decurtazione di valore. Di qui deriverebbe la minore liquidità potenziale per il sistema bancario italiano pari a 30 miliardi di euro in meno, secondo i calcoli di Jp Morgan.
Cosa c’entra Mps? Ci arriviamo. Il 5 dicembre scorso, all’indomani del referendum, Dbrs aveva detto che avrebbe continuato a valutare il merito di credito italiano alla luce del risultato del referendum e delle sue ripercussioni sul sistema politico (riforme strutturali e riforma della legge elettorale soprattutto). E poi, eccoci al punto, “progress in improving the strenght of the italian banking system”. Tradotto: signori cari, saranno certo importanti le riforme strutturali, ma non scordatevi che anche il sistema bancario (sì, proprio il tanto solido sistema bancario italiano, ndr) ha bisogno di una bella registrata.
Il modo in cui il governo Renzi ha affrontato la stabilizzazione del sistema bancario è stato “azzoppato” da coinvolgimenti diretti della famiglia Boschi in Banca Etruria, una delle quattro banche risolte. Gli esperti concordano sul fatto che un intervento del governo in Monte Paschi Siena era necessario già da inizio estate. Il motivo per cui non hanno proceduto con la solita ostentazione del “fare” è presto detto: se il Governo fosse intervenuto come sta intervenendo adesso, agli occhi dell’opinione pubblica sarebbe stato un ennesimo regalo ai banchieri. Meglio rischiare che la crisi Mps peggiori (negli ultimi mesi l’istituto ha perso 14 miliardi di depositi) e non perdere voti, al massimo me li compro, si sarà detto qualcuno prima del voto referendario.
Il 14 gennaio, nel caso in cui l’Italia dovesse subire il declassamento da parte di Dbrs, chiunque provi a dire che scontiamo la vittoria del No al referendum, si trattenga. Ripensi piuttosto a tutto quello che non è stato fatto per cercare di fare vincere un riforma istituzionale malfatta, e si ricordi di tutto quello che era necessario fare per il bene del Paese ed è rimasto intentato per tornaconto personale. Il giorno in cui dovessero ritrovarsi a governare, speriamo mai, ne potrebbero trarre ottimi insegnamenti.