Cosa può insegnarci la Israel Summer
29 Agosto 2011
"La casa…! La casa…!", scriveva più di vent’anni fa in un racconto dal ritmo celiniano Pier Vittorio Tondelli, evocando le disavventure di un giovane studente alla ricerca di una dimora nella Bologna universitaria, che si scontra con fittuari ladroni, spietati agenti immobiliari, banche che lo prendono per pazzo quando chiede un mutuo, novelli sposini che si contendono come un osso la migliore mansardina del quartiere.
A distanza di qualche decennio, il problema della casa è vivo più che mai nelle presunte affluenti società occidentali, dove sembrava che tutto sarebbe stato risolto dalla ritirata dello Stato e dalla mano libera del mercato e invece il sistema finanziario è crollato proprio sui mutui, in un’orgia debitoria di cui sono certamente responsabili le grandi banche d’affari e la finanza high-tech ma anche tanti cittadini colpevoli di aver vissuto pericolosamente, sopra le proprie possibilità, credendo che avrebbero potuto indebitarsi e rimandare ai posteri l’ardua cambiale.
Prendiamo Israele, che non sta certo messo male quanto a sviluppo economico-sociale, essendo uno degli Stati più ricchi e progrediti al mondo. Ormai da due mesi, le strade di Tel Aviv e delle principali città israeliane si sono riempite di tende. Migliaia e migliaia di tende erette davanti ai grandi edifici simbolo del potere finanziario, da tanti giovani che i critici sostengono essere manovrati dalla sinistra, ma che in realtà non sembrano troppo ideologicamente schierati. Costoro protestano, civilmente, e divertendosi anche, per i costi esorbitanti delle case.
Di queste giovani coppie ha scritto belle pagine l’attuale ambasciatore israeliano negli Usa, Michael Oren, che è anche una delle coscienze storiche del Paese. Oren in sostanza ha detto che la "Israel Summer" è un fiero colpo battutto da un pezzo consistente della classe media israeliana che guarda con apprensione al futuro, e che imputa il problema degli alloggi al disinteresse e alla lontananza di una classe dirigente che non sa offrire risposte certe alle nuove generazioni.
Secondo Oren, la "Israel Summer" è una prova della maturità della democrazia israeliana. Mentre nei vicini Paesi arabi si manifesta e si muore per difendere la libertà di parola e i diritti umani, dentro Israele si chiede di ripensare il ruolo dello Stato senza rinunciare ai principi della società liberale, una circonlocuzione per dire che non bisogna farsi fregare quando accetti di vivere in subaffitto o magari rischi tutto quello che hai aprendo un mutuo.
La situazione nello stato ebraico non è rosea per chi vuole comprar casa, sia perché siamo in un Paese piccolo raggiunto a più riprese da diverse ondate migratorie (sotto le tende ci sono ebrei di ogni provenienza), sia perché dalla metà degli anni Ottanta il social housing è stato fortissimamente ridimensionato: gli enti statali e parastatali sono stati privatizzati, ma il mercato, dopo una lunga serie positiva (parliamo sempre di quello immobiliare) ha iniziato a contrarsi, fino agli ultimi tempi, difficili anche perché c’è la crisi internazionale, quando il popolo delle tende è sceso in piazza deluso e scontento.
Non rivogliamo certo lo "Stato-Tata" che ti assiste dalla culla alla tomba, ma che un problema esista c’è poco da fare, l’ha ammesso anche il premier Netanyahu. Preoccupato dal montare della protesta, il leader della destra israeliana ha riunito i suoi esperti e messo mano ad un piano che non sarà realizzato da un giorno all’altro, "ci vorranno anni", ha detto, per la costruzione di nuovi ed economici complessi immobiliari, offrendo una serie di vantaggi ai costruttori che s’impegneranno con il governo per offrire un rifugio sicuro a chi non è milionario. E’ stato inoltre approntato un serio piano per gli studenti del Paese, i quali, alla maturità, non restano a casa dei genitori ma vanno a vivere da soli (e meno male).
Insomma, per dirla tutta, la deregulation nel mercato immobiliare ha generato una serie di abusi che invece di favorire la concorrenza hanno evidenziato le criticità di un capitalismo rintontito dalle giravolte di Wall Street e dalla cieca fiducia nel debito. Uno Stato non invadente ma saggio abbastanza da sapere quand’è il momento di intervenire dovrebbe dare una opportunità, quattro mura confortevoli, a chi mette su famiglia, genera dei figli, lavora e paga le tasse, anche se di questi tempi le opportunità, come dire, scarseggiano.