Cosa resta dell’8 marzo? Piazze semivuote e scatoloni di demagogia
08 Marzo 2011
Tutto fa brodo per abbattere il Caimano. Pure l’8 marzo va bene. La chiave di lettura è ormai stantia: il Cav. ha tolto la dignità alle donne. E allora va in scena l’ennesima passerella demagogica tra piazza di Pietra e Palazzo Chigi, dove le donne indignate della sinistra indignata a prescindere sfilano con al seguito scatoloni di firme per intimare l’alt al premier.
Per ora qualche milione, dice la Bindi che guida il corteo (per la verità alquanto risicato nonostante la grancassa dell’Unità e dei giornali di sinistra), ma assicura che la consegna proseguirà perché di adesioni ne sono state raccolte dieci milioni. Scena tristissima a parer nostro che con i temi dell’8 marzo non c’azzecca proprio nulla, per dirla in dipietrese. Non una parola sulle questioni del lavoro, della famiglia che Bindi&C. hanno di fatto consegnato al Comitato “Se non ora quando?” nell’altra manifestazione a Piazza Vittorio. Non un accenno alla battaglia di libertà che molte donne nel Maghreb stanno portando avanti in silenzio e a rischio della vita. Ci saremmo piacevolmente sorpresi se la giornata in cui si festeggiano tutte le donne si fosse dedicata a loro, al loro coraggio, alla loro determinazione, alla loro voglia di libertà e di giustizia, alla dignità che è diritto alla dignità, anziché suonare come un disco rotto il refrain delle feste ad Arcore. Niente di tutto questo, insomma. In primo piano c’è sempre e solo il Cav. coi suoi vizi e il suo denaro da togliere di mezzo. Sul piano politico poi, la trovata del Pd a cosa porta, cosa è in grado di produrre? Se il principale partito dell’opposizione è ridotto a raccogliere le firme per chiedere le dimissioni di un presidente del Consiglio eletto democraticamente e ad oggi ancora in grado di governare, come dimostrano i numeri in Parlamento, ci si domanda: a cosa è servito lo sforzo immane dei militanti e dei banchetti anti-Cav?
Dal Pd e da Bersani che ha sposato senza batter ciglio l’idea della Bindi (presidente del partito) ci saremmo aspettati molto di più. Invece no, tutta l’opposizione, quella di sinistra e quella terzopolista, da mesi è avvitata sulla demolizione scientifica di Berlusconi, sul piano personale e politico. Insomma, un’iniziativa retrò, un dejà-vu – la storia della prima e seconda Repubblica insegna – che non ha mai portato a nulla se non ad auto-convincersi di esistere e di esserci. Forse il Pd aveva bisogno di questo, di mobilitarsi per testare il livello di vitalità, dalla base in su. Ma allora cosa c’entra il premier? E ancora: come si fa a mobilitare l’elettorato su una cosa che non accadrà?
A parte il fatto che nessuno, tantomeno il Pd, può verificare fino in fondo l’autenticità delle firme, specialmente quelle raccolte on line, dal momento che hanno aderito pure Paperino, Qui, quo qua e chi si firma come Silvio Berlusconi. Il punto è un altro: dopo lo strappo con Fini e nonostante le mozioni di sfiducia ad personam tutte andate a vuoto, Berlusconi ha la maggioranza, ha ottenuto pure più voti in Parlamento di quelli che aveva tre anni fa. E le tanto agognate elezioni anticipate (prima respinte, poi benedette in chiave ribaltone) che lo stesso Bersani fino a poco invocava, oggi non sono più nell’agenda politica, né in quella del governo né in quella del Parlamento. Lo ha ammesso perfino il presidente della Camera che da dicembre in poi insieme a Casini e al leader democrat le ha studiate tutte per rovesciare governo e maggioranza.
E allora su cosa si mobilitano i cittadini? Solo sugli slogan, sulla demagogia, sulla voglia di dimostrare che comunque il Pd c’è? Francamente un po’ poco per un partito che si candida alla guida del Paese. A ben poco servono le frasi altisonanti e per certi aspetti minacciose (“e l’ora di sloggiare”) della Bindi, convinta che quei dieci milioni di firme si tradurranno in voti perché per riuscirci non bastano gli slogan ad effetto, men che meno continuare sulla strada dell’antiberlusconismo. E’ l’errore storico della sinistra da diciassette anni a questa parte, che evidentemente ancora non è stato compreso da chi oggi guida la nave del Nazareno. Lo ha capito perfino Vendola che parla alla sua gente col carisma e la capacità comunicativa di Berlusconi. Serve un progetto e un leader, ma il Pd non ce l’ha e senza progetto e leader i voti non si conquistano. Dovrebbe rifletterci su Bersani che ieri ammoniva: “Berlusconi ci ha portato a pensare che la mercificazione della donna sia lo spazio della sua libertà. No, no, no”. E così dalla piazza delle donne indignate a comando (politico) agli scatoloni consegnati a Palazzo Chigi e compagnia cantante, la sinistra suona sempre la stessa musica. La novità è che oggi è in buona compagnia, quella futurista alla Filippo Rossi, alla Granata e alla Bocchino.
Il richiamo del Capo dello Stato contro la cultura diffusa sul ruolo della donna e un’immagine consumistica “che la riduce da soggetto a oggetto propiziando comportamenti aggressivi che arrivano fino al delitto”, seppure condivisibile in linea generale, è sembrato un po’ datato. Nonostante persistano ancora differenze nel campo delle professioni e nelle relazioni tra generi non si può certo dire che in Italia le donne vivano in una condizione di subalternità. E’ nella vita quotidiana, tra le mura domestiche e sul posto di lavoro che le donne sanno dimostrare ciò che sono e ciò che valgono, cioè un pezzo fondamentale e insostituibile della società. Ed è l’impegno, la serietà di ciascuna, giorno per giorno, che fa la forza delle donne, ne dimostra la determinazione nel portare avanti capacità e sensibilità che non hanno bisogno di alcun cappello politico o di essere rinchiuse nel recinto demagogico di una categoria che si vuole dipingere ancora quasi come una riserva indiana.
In un giorno come questo, dalla sinistra radical-chic, dalla Bindi che fa politica da una vita, dalla Comencini novella Giovanna d’Arco delle donne indignate sempre e comunque, ci saremmo aspettati una mobilitazione non a senso unico, cioè contro il Cav., ma ad esempio in difesa dei diritti delle donne del Maghreb che sono scese in piazza per la libertà. Quelle donne che al Cairo in piazza Tahirir ieri sono state cacciate in quanto donne. L’8 marzo è anche e soprattutto questo. A prescindere dagli scatoloni e dalle firme, perché non sia solo e sempre una ricorrenza zeppa di demagogia.