Cosa sa dell’Italia un tassista di Marrakech
09 Dicembre 2024
Venerdì pomeriggio a Marrakech ci sono 33 gradi ed il traffico è terribile. Le macchine fanno a spallate per guadagnare un metro, la luce è gialla di polvere e di smog. Il mio autista è giovane, guida un taxi malconcio e cigolante, ripieno di cianfrusaglie. Biascica un po’ di francese e di inglese mescolati, ma si fa capire perfettamente, come tutti qui.
Corre nel traffico a velocità folle e mi sorride nello specchietto con i suoi denti sghimbesci, ostentando orgogliosamente le sue abilità di pilota. “My friend, please slow down, we are not in a rush”, gli butto là, interpretando le occhiate terrorizzate di mia moglie. “Ok Sir, no problem, je suis Hicham, very good driver, no problem!”. Non mi devo preoccupare e forse ha ragione, ma guida davvero come un pazzo…
“Ok, Hicham, please slow down, I will give you 100 dirham for your extra time”. Forse mettendo sul piatto dei soldi, ci sentirà di più… Eccome se ci sente! Passiamo immediatamente in modalità relax, Hicham si aggiusta sul sedile, si mette in prima corsia, sistema lo specchietto e con un ghigno sornione, mi apostrofa: “Italiano?”. “Yes”, gli rispondo sorpreso, “come lo sai? How do your know?”.
Mi dice che l’ha capito perchè gli italiani sono good and generous, “because you understand me: taxi c’est my travail… if slow, no course, no money!”. Gli sorrido e gli dico: “Do you really think italians are generous?”. Ride e annuisce con vigore mentre si mette a smanettare sul cellulare… la radio gracchia qualche nota confusa, lui alza il volume, si volta e…”Listen Sir, listen!”: parte l’inno di Mameli. Hicham mette la mano sul petto e canta l’inno in italiano, come se fosse il suo…”Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte… l’Italia chiamò. Si!”.
Sono stupito, divertito, perfino inorgoglito. Hicham è entusiasta: “If I no Maroccan, I Italian!”. Se non fossi nato marocchino, avrei voluto essere italiano…
La sera, nel fresco del riad dove alloggiamo, ripenso alla passione di Hicham, alla fiducia nei confronti degli italiani, forse un po’ ingenua, mi dico, ma così sincera e spontanea. Me lo immagino, nel suo taxi, che accompagna migliaia di turisti provenienti da paesi diversi, cerco di immaginarmi le piccole conversazioni, i gesti, gli sguardi e, forse, le discussioni e i litigi.
Ripenso a quella frase: Avrei voluto essere Italiano. L’idea che qualcuno di una cultura così lontana ammiri il mio Paese mi inorgoglisce, ma mi lascia anche un retrogusto amaro.
Mi inorgoglisce, quando penso al contributo determinante degli italiani nel mondo: i medici che salvano vite lontano da casa, gli operatori umanitari che soccorrono le popolazioni in crisi, i peacekeeper che rischiano la pelle per difendere la pace, i nostri diplomatici che tessono trame di dialogo, i nostri imprenditori e managers che portano idee e sviluppo.
Ma poi penso alle nostre beghe di cortile, alla storica mancanza di leadership politica, alle mille decisioni prese e mai rispettate, al pensiero autocommiserante che rifiuta il cambiamento e cerca sempre di evadere le responsabilità. Penso a quello che noi italiani potremmo fare se mettessimo da parte egoismi ed ideologie e remassimo tutti nella stessa direzione.
Dovremmo rispettare Hicham, e molti altri come lui, che vedono questo Paese come un riferimento, e mettere a servizio del bene comune i nostri incredibili talenti individuali. Troveremmo un mondo pronto ad ascoltarci e ad aprirsi e potremmo giocare un ruolo di primo piano a tutto tondo, con l’ambizione di rendere il mondo un posto migliore: la posta è alta, ma i tempi in cui navighiamo richiedono nientedimeno che questo coraggio.