Cos’è la deflazione e perché fa male all’Italia
01 Aprile 2016
di redazione
Lo spettro della deflazione continua a volteggiare sull’Italia. Secondo Istat, il nostro Paese è ancora in deflazione a marzo, con i prezzi che segnano un calo dello 0,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (era -0,3% a febbraio). Su base mensile invece, dopo due cali consecutivi, l’inflazione segna un +0,2%. La deflazione, è bene ricordarlo, deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè da un freno nella spesa dei consumatori e negli investimenti delle aziende. Le imprese, in particolare, non riuscendo a vendere, cercano di collocare le loro merci a prezzi inferiori.
"L’attesa ripresa dei prezzi non c’e’ stata, e il leggero rialzo del +0,2% sul mese è dovuto unicamente al caro-benzina e agli effetti dell’aumento del petrolio sui mercati internazionali," fa sapere il Codacons, "Con questi numeri non si va da nessuna parte, e preoccupa in modo particolare il dato sul carrello della spesa, che diminuisce dello 0,3% su base annua. Gli effetti della deflazione saranno pesantissimi per la nostra economia, perche’ dimostrano che la domanda interna e’ ancora debole, con conseguenze negative per industria, commercio e occupazione".
"Il Governo non ha ancora capito che la deflazione e’ un segnale allarmante contro il quale occorre intervenire rilanciando i consumi e aumentando il potere d’acquisto delle famiglie, attraverso misure strutturali che diano risultati sul lungo termine", aggiunge il Codacons. Crollano anche i prezzi nelle campagne italiane, dal -30 % per il grano duro al -31% per cento dei pomodori in serra fino al -41% per le arance, rispetto all’anno scorso, "ma la situazione è precipitata anche nelle stalle italiane con i compensi agli allevatori che non coprono piu’ neanche i costi dell’alimentazione del bestiame", spiega invece Coldiretti in uno studio realizzato dalla nota associazione di categoria.
Più ottimista Confcommercio che rileva come "il permanere della variazione dei prezzi in territorio negativo, ha assunto dimensioni lievemente piu’ contenute rispetto a quelle ipotizzate. Restano concentrati su pochi settori – energetici e alimentari non lavorati – gli impulsi alla riduzione dei prezzi al consumo. Segnali, questi, che indicano una diminuzione del rischio deflazione anche in virtu’ del moderato aumento dei prezzi rispetto a febbraio, il primo dopo quattro mesi di discesa". In ogni caso la mancanza di una seria politica industriale da parte del governo, di investimenti e riduzione del fisco, impediscono all’esecutivo di vincere la sfida della deflazione, come ha ammesso lo stesso Renzi.
Renzi però non mette in discussione la linea della Ue, la politica monetaria della Bce continua ad essere considerata la principale iniziativa per ridurre la deflazione. E dopo il bazooka di Draghi, anche la Fed sembra essersi allineata, scegliendo delle politiche monetarie accomodanti per evitare rischi. Tenere i tassi d’interesse negativi può servire alle banche centrali nella lotta contro le pressioni deflazionistiche, ma il limite resta appunto quello di credere che basti il monetarismo mentre quello che serve sono vere politiche di sviluppo.
"Per combattere la deflazione bisogna far crescere i salari ed i consumi, ridare slancio alla produttività delle aziende, puntando sull’innovazione tecnologica, la formazione, la ricerca di qualità dei prodotti e dei servizi", ha detto Annamaria Furlan, segretaria generale della Cisl, in un intervento sulla Stampa ricordando Ezio Tarantelli, mentre secondo l’ex governatore della Banca d’Italia, Fazio, "l’area dell’euro ha un surplus della bilancia dei pagamenti, nei confronti del mondo esterno, del 3% del suo Pil. Cosa fa? Ha disoccupazione, ha deflazione, puo’ e deve spingere invece gli investimenti. L’ex ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, che e’ stato tanto criticato, aveva capito le cose meglio degli altri".
Secondo Fazio, se "300 miliardi fossero impegnati ogni anno in progetti di investimento scelti dalla Banca Europea degli Investimenti e i relativi titoli acquistati dalle banche centrali nazionali, avremmo un immediato, notevole sollievo della situazione".
Jens Weidmann, presidente della Bundesbank e membro del Governing council della Bce, invece ha bocciato la politica monetaria espansiva della Eurotower: "non vanno sottovalutati i rischi di una politica monetaria fatta con strumenti non convenzionali" anche perchè "il pericolo di deflazione resta molto basso". Secondo Weidmann, la politica monetaria di bassi tassi e fondata su acquisti di titoli di Stato "allevia le pressioni sui quei paesi che devono fare riforme e consente loro di finanziarsi a prezzi che non riflettono i loro rischi".
Per Weidmann lo sforzo della Bce per riportare l’inflazione verso il 2% deve anche tenere in considerazione il rischio generato da tassi di interesse troppo bassi e da politiche monetarie non convenzionali, soprattutto "se questo rischio si trasforma per il consiglio della Bce nel fronteggiare richieste assurde come gettare soldi dall’elicottero".