Cosentino lascia il governo e attacca Fini: “Vuole solo il potere nel partito”
14 Luglio 2010
di redazione
“Ho deciso di concerto con il Presidente Berlusconi di rassegnare le mie dimissioni da sottosegretario per potermi completamente dedicare alla vita del partito, particolarmente in Campania, anche al fine di contrastare tutte quelle manovre interne ed esterne poste in essere per fermare il cambiamento”. Poche righe affidate a una nota ufficiale segnano l’uscita di Nicola Cosentino dalla compagine di governo e dal ministero di via XX Settembre. Una decisione condivisa da Berlusconi che si dice convinto della sua “totale estraneità alle vicende che gli sono contestate”.
Lapidario invece Fini che parla delle dimissioni come “atto indispensabile e doveroso di correttezza istituzionale per una evidente e solare questione di opportunità politica”. Un tasto sul quale, ancor prima dell’inchiesta aperta dalla procura di Roma sugli appalti per l’eolico in Sardegna, il presidente della Camera e i suoi uomini stavano battendo il tasto da tempo impugnando il vessillo della legalità. Per loro, il passo indietro avrebbe dovuto essere doppio, ovvero da sottosegretario e da leader del partito campano (per un’altra inchiesta), ma così non è stato.
Il premier lo ha ribadito sottolineando che la condotta di Cosentino in campagna elettorale “è stata improntata alla massima lealtà e al massimo impegno per ottenere la vittoria di Stefano Caldoro”. Per questo non c’è bisogno di quell’ulteriore passo indietro che specialmente il pasdaran finiano Italo Bocchino negli ultimi giorni era tornato a sollecitare.
L’annuncio delle dimissioni di Cosentino arriva al termine di un vertice a Palazzo Chigi al quale Berlusconi convoca lo stato maggiore del partito, dai vertici dei gruppi parlamentari di Camera e Senato ai coordinatori nazionali tra i quali Denis Verdini, anche lui come Cosentino coinvolto nell’inchiesta sulla cosiddetta P3. Una decisione condivisa dal premier e che sul piano politico evita la conta interna alla maggioranza (ma anche il rischio di uno scivolone dal momento che anche Casini era propenso a sostenere la richiesta di ritiro delle deleghe) sulla mozione di sfiducia presentata da Pd e Idv nei confronti dell’ormai ex-sottosegretario dopochè i finiani con Bocchino avevano fatto sapere di essere pronti a votare il documento il cui esame era già stato fissato per mercoledì prossimo.
Una scelta quella della calendarizzazione della mozione che il presidente Fini ha assunto stamani autonomamente dal momento che in conferenza capigruppo non era stata raggiunta un’intesa tra maggioranza e opposizione, suscitando così l’irritazione di Pdl e Lega più propense a rinviare l’esame del dossier e comunque a non affrontarlo in questo mese visto che in agenda ci sono già manovra e intercettazioni. Cosentino respinge ogni accusa, denuncia “la persecuzione da due anni messa in atto dal solito circo mediatico, da L’Espresso a la Repubblica, probabilmente perché ho messo fine alle sconfitte del centrodestra in Campania” e ricorda che il suo “è un caso unico nella storia repubblicana” perché “per quattro volte è stata presentata una mozione per gli stessi fatti”.
Tiene il punto anche sui veleni circa una presunta attività di dossieraggio contro il governatore della Campania Stefano Caldoro. “Non solo non vi è stata da parte mia alcuna attività di dossieraggio ma mi sono premurato nell’interesse del partito quale coordinatore regionale di espletare tutte le opportune verifiche di notizie che, dopo il caso Marrazzo, potevano apparire problematiche. E sono stato proprio io ad appoggiare col massimo dell’impegno la candidatura di Caldoro garantendogli un risultato straordinario”, spiega Cosentino.
Che poi non rinuncia a togliersi qualche sassolino dalla scarpa e il messaggio in questo caso è tutto rivolto all’inquilino di Montecitorio per la decisione di calendarizzare la mozione di sfiducia la prossima settimana. Cosentino critica la terza carica dello Stato per essersi basato solo “su indimostrate e inconsistenti notizie di stampa”. Un atteggiamento che “ben si comprende ove si conoscano le dinamiche politiche in Campania e coloro che sono i più stretti collaboratori di Fini e di Bocchino che da anni, senza successo, tenta di incidere sul territorio non già per interessi del partito bensì per mere ragioni di potere personale e che alla prova elettorale è sempre stato sconfitto”. Più che sassolini, veri e propri macigni.
Ai quali l’ex leader di An replica secco: “Quello che dice mi lascia del tutto indifferente”. E se nelle file del centrodestra le dimissioni del sottosegretario all’Economia sono viste come il male minore dal momento che servono a disinnescare una mina parlamentare particolarmente insidiosa, ciò che viene considerato il nodo cruciale per la tenuta del Pdl e della maggioranza resta il rapporto tra Berlusconi e Fini. Perché, per dirla col berlusconiano Osvaldo Napoli “non si deve aspettare un’ora di più per arrivare a fare chiarezza con Fini. Rottura o accordo, ma chiarezza va fatta in modo radicale”.
Il parlamentare forzista è convinto che la tregua in uno scenario di guerra tanto cinico sarebbe solo “l’occasione per organizzare nuove e più cruente battaglie”. Ragion per cui, osserva, è impensabile che una minoranza del Pdl “proceda per strappi successivi, pronta a sfruttare ogni aggressione mediatica per trasformarla in sentenza di condanna verso esponenti di governo e di partito”.
E d’altro canto – è il ragionamento di Napoli – non si può immaginare che “messo in salvo l’esecutivo con l’espulsione dell’esponente di turno, le cose nel partito si aggiustano da sè. Berlusconi ad agosto dovrà mettere mano insieme al governo e al partito. Nella consapevolezza che indebolire l’uno non mette per niente in salvo l’altro”.
Sul fronte delle opposizioni, Di Pietro esulta e va oltre chiedendo in perfetto stile giustizialista che la Camera conceda il via libera all’arresto di Cosentino (chiesto a suo tempo dalla procura di Napoli), mentre Franceschini intesta al Pd la vittoria politica della vicenda e il leader Udc Casini parla di “gesto di ragionevolezza” ancorchè “tardivo”.
Con le dimissioni di Nicola Cosentino da sottosegretario all’Economia sono tre gli esponenti della maggioranza che hanno lasciato l’incarico di governo in appena due mesi. Il 4 maggio scorso è toccato a Claudio Scajola, costretto a rinunciare alla guida del dicastero per lo Sviluppo economico, dopo il suo coinvolgimento nella vicenda della compravendita della sua casa al Colosseo (da allora Berlusconi ha assunto l’interim). Due mesi dopo, il 4 luglio, arrivano le dimissioni di Aldo Brancher da ministro per l’Attuazione del federalismo, a seguito del processo nel quale figura tra gli imputati per la vicenda Antonveneta. Il suo incarico è durato solo diciassette giorni.
Ieri l’addio al governo di Nicola Cosentino.
di Lucia Bigozzi