Così la sinistra strumentalizza i giovani sperando in un nuovo ’68 (che non ci sarà)
08 Aprile 2019
Rami per l’estensione della cittadinanza mediante lo ius soli, Greta per l’ estremismo ambientalista e Simone per ammorbidire la mancata integrazione nelle periferie: la “nuova sinistra” sembra aver trovato il modo di far passare quello che altrimenti non sarebbe stato digerito. La neo narrativa giovanilista è costruita attorno a un interrogativo presentato come categorico: se a sostenere queste cause, quelle giuste per antonomasia, sono i cittadini del mondo che verrà, perché il resto della cittadinanza, e soprattutto dell’elettorato, non dovrebbe andare nella direzione indicata? Il “millenial socialism”, che negli Stati Uniti è rappresentato da Alexandria Ocasio Cortez e che nel Belpaese viaggia, in maniera un po’ raffazzonata, seguendo la parabola zingarettiana, sembra quasi sperare in un conflitto generazionale. Solo un’edizione rivisitata dei moti del 1968′ – pensano – sarebbe in grado di rianimare un paziente ricoverato nell’ospedale della storia.
Deve sorgere una nuova “fantasia” che desidera andare al “potere”, ribellandosi ancora contro le resistenze del passato, ma questa volta a favore del panteismo naturalista, dell’egualitarismo universale e dello sradicamento da qualunque identità territoriale, familiare e sociale. Perché la “nuova sinistra” pensa che le giovani generazioni, differentemente da quelli che una volta sarebbero stati chiamati “padri”, siano già liquide e pronte al cosmopolitismo senza freni, alla globalizzazione, alla precarietà e all’internazionalismo. Perché questi giovani – questo è l’adagio che circola dalle parti dell’establishment liberal – democratica – saranno sempre pronti alla sostituzione del “vecchio” con il “nuovo”. Non hanno bisogno di confini, non hanno bisogno di una cultura comune e, soprattutto, non hanno bisogno di credere in Dio. Sono – rimanendo sempre nel campo di quello che viene percepito a sinistra – la migliore garanzia per la prosecuzione di un modello che le urne hanno iniziato a respingere con la Brexit, con l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump e, in parte, bocciando il referendum costituzionale di matrice renziana. Giovani, minoranze e universo Lgbt: questi sono i tre bacini elettorali individuati dal progressismo per non scomparire. L’anagrafe – ne sono sicuri – è dalla loro, parte. La battaglia per la negazione delle differenze di genere – ventilano – sta per essere vinta. Il mantra dell’accoglienza dei migranti a tutti i costi – concludono – ci consegnerà il trionfo del multiculturalismo. Accogliere deve passare come un diritto assoluto, quindi estendibile erga omnes. Non sono mai stati stupidi a sinistra: hanno sempre avuto un disegno gramsciano in mente. Quello di costruire la realtà in modo tale che l’unica tratta possibile fosse quella disegnata a tavolino. Ma in democrazia a decidere è una forma qualificata o assoluta di maggioranza, che i progressisti non riescono più a ottenere. E allora ben venga questo nuovo 1968′, che deve approvare in piazza le istanze che le aule parlamentari d’Occidente non riescono più a tutelare. Eppure questi nuovi sessantottini non compaiono.
Tutto sembra pronto e apparecchiato per una rivolta idealistica, ma a scendere nelle strade continuano a essere i “penultimi” – come li chiama Federico Rampini – dei gilet gialli e le periferie esasperate, come quella italiana di Torre Maura. Sì, c’era una parte di ceto medio quando il Partito Democratico e satelliti vari, contrastando la “linea restrittiva” sulla gestione dei fenomeni migratori, hanno manifestato in piazza Duomo. Ma non si trattava di un moto popolare. Non è l’operaio che affianca ideologicamente Laura Boldrini che balla. Non è pure l’impiegato. Siamo, al limite, dalla parte dell’alta borghesia. Lo ha indirettamente ammesso Romano Prodi quando ha dichiarato che il Partito Democratico sta cambiando, smettendo di essere il “partito dei ricchi”. Eccolo, dunque, questo cortocircuito che impedisce all’innesco del 68′ di funzionare a dovere. Contro chi dovrebbero scagliarsi questi giovani? Sono le élite continentali a dettargli l’agenda: ambientalismo, migrazionismo ed estensione della cittadinanza sono le parole d’ordine con cui, quotidianamente, questi ragazzi vengono imboccati dalla televisione e da altri media. Contro chi dovrebbe lottare un giovane di Torre Maura? Magari contro un padre, settantenne, che ancora lavora per tirare avanti una baracca che altrimenti affonderebbe? O contro un padre cinquantenne che ha appena perso il lavoro e si sta reinventando taxista? Questi sono i prototipi degli elettori del tanto stigmatizzato populismo. Questo è, attualmente, il ceto medio del Belpaese.
Un “nuovo 68′ non può nascere perché le barriere sociali dei “parrucconi” non esistono. C’è, di rimando, la percezione che le discrepanze economiche e un certo tasso di disperazione possano continuare a muovere la ruota della storia. A spingerla, però, saranno ancora una volta gli ex borghesi, i nuovi poveri, quelli, insomma, che fino all’altro ieri sono appartenuti al ceto medio. Quelli a cui rimangono ancorati, per fortuna, gli stessi giovani che la “nuova sinistra” sta cercando di sfruttare.