L’Emilia Romagna è la prima regione italiana a introdurre gratuitamente il Nipt (Non Invasive Prenatal Test), il test di screening prenatale che consente di prevedere con un alto grado di attendibilità le anomalie cromosomiche del feto. Tra queste, la trisomia 21, la cd. sindrome di Down, la trisomia 18, la cd. sindrome di Edwards e la trisomia 13, la cd. sindrome di Patau.
Il Nipt verrà messo a disposizione, dopo una fase pilota di nove mesi nell’area metropolitana di Bologna, nelle strutture sanitarie pubbliche della regione per tutte le donne incinte residenti, indipendentemente dall’età e dalla presenza di fattori di rischio, sulla base della mera richiesta della madre.
Presentato come uno strumento innovativo e all’avanguardia per le donne, l’utilizzo del Nipt in realtà comporta conseguenze di tipo etico non trascurabili. Come riportato infatti dal Rapporto del Comitato Bioetico internazionale dell’UNESCO sul tema del Genoma umano e i Diritti Umani (
Report of the IBC on updating on the Human Genome and Human Rights), il Nipt, così come anche altri metodi diagnostici prenatali, può configurarsi quale strumento per scegliere se abortire o meno il figlio che presenti patologie. Basti pensare che nel Regno Unito, secondo i dati pubblicati dal Times, da quando è stato introdotto il Nipt le nascite dei bambini con la sindrome di Down sono diminuite del trenta per cento. Il messaggio correlato all’uso del Nipt sarebbe quindi che la nascita di queste persone non è propriamente gradita all’interno della società.
Inoltre sussiste il concreto rischio che le donne che ricevano un risultato positivo circa l’anomalia del feto possano non sempre aspettare la conferma del risultato di una diagnostica invasiva, ma ricorrano subito all’interruzione della gravidanza.
Poiché tramite il Nipt è possibile conoscere il sesso del nascituro, nondimeno marginale sarebbe il rischio dell’incoraggiamento degli aborti selettivi in quelle comunità che per pregiudizi culturali prediligono i nascituri di sesso maschile.
Ma non finisce qui. L’uso diffuso del Nipt al fine di analizzare le caratteristiche genetiche fino all’intero genoma con la produzione di una notevole quantità di dati porterebbe ad un significativo aumento di falsi positivi, che richiedono a loro volta una conferma mediante test invasivi. Conseguentemente l’uso del Nipt produrrebbe effetti paradossali: la diagnostica invasiva aumenterebbe proprio a causa del ricorso al Nipt, che in origine era stato elaborato invece proprio per diminuire l’utilizzo della diagnostica invasiva. Infine, c’è da precisare che spesso il sequenziamento del genoma consente solamente di determinare la probabilità di sviluppare una determinata malattia e dunque, come considerare allora la relazione tra la gravità della malattia prevista e la probabilità che questa si sviluppi? E in che stato psicologico vivrebbero i genitori avendo la consapevolezza che il bambino potrebbe probabilmente sviluppare una malattia grave, ma che allo stesso tempo, trattandosi appunto di probabilità, potrebbe anche non svilupparsi mai?
Tutti questi interrogativi di stampo etico, suffragati dai dati di istituzioni sanitarie estere dei Paesi in cui il Nipt utilizzato viene adoperato, certamente stridono con l’annuncio trionfante ed entusiastico dell’arrivo del Nipt in Italia.