Così l’Islanda ha “domato” il Coronavirus
16 Aprile 2020
Si potrebbe obiettare. Vista la densità di popolazione lì il distanziamento sociale è garantito: grazie che lì le cose sono andate bene. Non è proprio così e non è così scontato. Sennò sarebbe difficile spiegare perché in Italia a grandi città “con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce” è andata assai meglio di piccoli paesini sperduti nella nebbia della bassa o arroccati su un’altura appenninica. Il fatto è che l’Islanda è diventata un “caso scuola”. Il Paese conta 364.000 anime e anche per questo numero limitato di abitanti è stato possibile portare avanti un esperimento i cui risultati sono stati pubblicati questa settimana sul New England Journal of Medicin. Tutto è iniziato il 31 gennaio, quasi un mese prima che il primo malato islandese di coronavirus si palesasse. I programmi di test a campione sono stati due.
Il primo ha riguardato quelle persone che erano giunte nel Paese provenienti da zone sospette: Cina innanzi tutto ma anche Austria, Italia, Svizzera, Gran Bretagna. 9000 in tutto, delle quali a fine marzo ben il 13,3% avevano contratto il virus. Il secondo programma si è avviato il 13 maggio; ha riguardato gli “stanziali” ed ha dato risultati assai più confortanti: i sintomatici sono risultati meno dell1%. Nel complesso, in Islanda 36.000 persone hanno fatto il tampone (e di queste il 43% non aveva sintomi): il 10% della popolazione. A cosa è servito questo test di massa? A identificare i malati asintomatici, a rintracciare i loro contatti, a garantire quarantene mirate senza che il virus fosse portato in famiglia. L’Islanda non ha praticato un lookdown esasperato (asili e scuole primarie, ad esempio, sono rimaste aperte) e già sta programmando la riapertura per il 4 maggio. In percentuale non ha avuto pochi contagi (1768 casi) ma ha avuto pochissimi morti: soltanto 8. Il suo esempio non ci dice cose troppo differenti da quelle che ci provengono dalla Corea e, se ci spostiamo a casa nostra, dal Veneto. Un anziano proverbio dice: “chi lascia la via vecchia per la nuova, male si trova”. Non sempre i proverbi hanno ragione. C’è più di una ragione per credere che, in questo caso, la strada indicata dalla piccola Islanda sia quella giusta.