Così mondo del lavoro e crisi stanno abbattendo i privilegi delle “Caste”

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Così mondo del lavoro e crisi stanno abbattendo i privilegi delle “Caste”

04 Ottobre 2010

La lettera del direttore Ferruccio de Bortoli ha sicuramente avuto il merito di aprire un dibattito sul settore della comunicazione: un settore che è sempre vigile e pronto ad occuparsi degli affari degli altri ma è assai restio a parlare dei propri.

I giornali commentano i rinnovi contrattuali dei metalmeccanici, ma girano al largo quando si tratta di quello dei giornalisti. Salvo leggere a piè di pagina bellicosi comunicati dei comitati di redazione scritti con toni ed argomenti che persino Maurizio Landini troverebbe un po’ vetero-comunisti.

Il settore è sconvolto dalle trasformazioni tecnologiche, operative ed organizzative, peraltro sempre più rapide ed innovative. La multimedialità è una realtà sempre più diffusa e penetrante. La classica carta stampata è sempre più in difficoltà, tanto che riesce a reggersi solo grazie alla pubblicità (peraltro fortemente contesa dalla televisione) e agli aiuti di Stato (sui costi dei materiali per la produzione). Eppure, se osserviamo il mercato del lavoro del settore abbiamo una rappresentazione ancor più marcata del dualismo tra insiders ed outsiders che ormai interessa tutto il mondo del lavoro.

Insieme al grande editorialista a cui vengono chiesti al massimo un paio di articoli alla settimana, lavorano centinaia di giovani, spesso precari, che rincorrono le notizie per le agenzie, che scrivono per i giornali on line, che svolgono la loro attività nei tg delle tv locali. Tutti, nel mondo della comunicazione, hanno fatto la gavetta, cominciando a scrivere su giornaletti di provincia, su quotidiani di partito o quant’altro. Ma le "firme" di oggi, all’inizio della carriera, avevano delle fondate speranze di poter compiere prima o poi il salto nella stabilità, entrando a far parte di una categoria – quella dei giornalisti – coperta da un contratto di lavoro molto protettivo e garantista e da un sindacato – la Fnsi – unico e molto potente. In nome della libertà di stampa, sono riconosciute, nel contratto nazionale ed ancor più negli accordi aziendali, prerogative sindacali fortemente limitative dei diritti degli editori e dei direttori responsabili. Certo non si verificano più – per quanto se ne sa – gli eventi del passato quando taluni comitati di redazione si arrogavano il diritto di giudicare il contenuto degli articoli e di imporne la mancata pubblicazione. Ma i condizionamenti sindacali sono ancora robusti e spesso… a senso unico.

Dal canto suo la Fnsi è in mano agli insiders e ha portato avanti politiche difensive, nei fatti, delle loro prerogative, anche quando si è prefissa, nelle piattaforme rivendicative, di combattere il cosiddetto precariato. Ormai si è compresa, infatti, una verità elementare che non vale solo per il sindacato dei giornalisti: quanti pretendono di associare gli outsiders ai privilegi degli insiders, in realtà, dei primi non interessa nulla, si preoccupano solo dei secondi, la cui condizione di lavoro, proprio perché ritenuta normale, diventa per definizione immodificabile. Questa impostazione ha portato la Fnsi a sostare su di un binario morto. Ormai, quando il sindacato proclama uno sciopero, metà dei quotidiani sono ugualmente in edicola.

E’ divenuto sempre più difficile arrivare al rinnovo dei contratti, perché il sindacato si oppone a quelle misure di flessibilità di cui gli editori hanno bisogno (e che coinvolgerebbero non il giovane redattore che lavora in modo già flessibile) ma il giornalista di lungo corso assunto in modo stabile. Persino l’ultimo favore dei prepensionamenti si è tradotto, sovente, in un "patto scellerato" tra giornali e "firme eccellenti" (non certo in nuove assunzioni). I giornalisti hanno accettato il pensionamento accompagnato dall’offerta di un contratto di collaborazione da pensionato. E si è trattato di alcune centinaia di casi, quasi tutti nei grandi quotidiani.

Della Fnsi è opportuno ricordare che, quando Silvio Berlusconi volle esercitare il suo diritto di cittadino e querelare alcuni quotidiani che avevano saccheggiato la sua vita privata, quel sindacato promosse una manifestazione in difesa della liberà di stampa (con orazione ufficiale tenuta da un presidente emerito della Consulta) a cui aderirono tutti i soliti noti. Quando altri personaggi delle Istituzioni e della politica hanno querelato altri quotidiani non si è sentito volare una mosca in difesa di quella stessa libertà che il premier avrebbe conculcata.

Tornando al tema, non conosciamo – proprio perché i giornali sono restii a parlarne – la situazione del Corriere della Sera, che non è uscito per ben due giorni per protesta contro la lettera del suo direttore.

Ma di Ferruccio de Bortoli possiamo fidarci quando scrive ai suoi redattori: "L’industria alla quale apparteniamo e la nostra professione stanno cambiando con velocità impressionante. In profondità. Di fronte a  rivolgimenti epocali di questa natura, l’insieme degli accordi aziendali e delle prassi che hanno fin qui regolato i nostri rapporti sindacali non ha più senso. Questo ormai anacronistico impianto di regole, pensato nell’era del piombo e nella preistoria della prima repubblica, prima o poi cadrà. Con fragore e conseguenze imprevedibili sulle nostre ignare teste. Non è più accettabile – prosegue il direttore – che parte della redazione non lavori per il web o che si pretenda per questo una speciale remunerazione. Non è più accettabile che perduri la norma che prevede il consenso dell’interessato a ogni spostamento, a parità di mansione. Prima vengono le esigenze del giornale poi le pur legittime aspirazioni dei giornalisti. Non è più accettabile che i colleghi delle testate locali non possano scrivere per l’edizione nazionale, mentre lo possono tranquillamente fare professionisti con contratti magari per giornali concorrenti. Non è più accettabile l’atteggiamento, di sufficienza e sospetto, con cui parte della redazione ha accolto l’affermazione e il successo della web tv. Non è più accettabile, e nemmeno possibile, che l’edizione Ipad non preveda il contributo di alcun giornalista professionista dell’edizione cartacea del Corriere della Sera. Non è più accettabile la riluttanza con la quale si accolgono programmi di formazione alle nuove tecnologie. Non è più accettabile, anzi è preoccupante, il muro che è stato eretto nei confronti del coinvolgimento di giovani colleghi. Non è più accettabile una visione così gretta e corporativa di una professione che ogni giorno fa le pulci, e giustamente, alle inefficienze e alle inadeguatezze di tutto il resto del mondo dell’impresa e del lavoro. L’elenco, cari colleghi, potrebbe continuare. E’ un elenco amaro, ma sono costretto a farlo perché, continuando così, non c’è più futuro per la nostra professione. E, infatti, vi sfido a contare in quanti casi sulla Rete è applicato il contratto di giornalista professionista. Tutto ciò deve farci
riflettere. Seriamente
".

Poi viene il clou della lettera. "Sediamoci attorno a un tavolo, chiedendo all’azienda
di assumersi le proprie responsabilità, per stringere un nuovo patto interno
all’altezza delle nostre sfide professionali ed editoriali
". E la frase che ha provocato il casus belli: "Ma una cosa deve essere chiara fin dall’inizio. Se non vi sarà accordo, i patti integrativi verranno denunciati, con il mio assenso".

A quest’ultima frase si è attaccato il comitato di redazione per proclamare lo sciopero, cavandosela con il solito rilievo di metodo, come fanno tutti coloro che non hanno argomenti tanto solidi da confutare quelli degli altri.

A dire la verità, la lettera del direttore del Corriere della Sera ci ha ricordato altre prese di posizione, a partire da quelle di Sergio Marchionne sul caso Fiat. A prova del fatto che c’è qualche cosa di importante che sta movendosi in Italia. Resta solo da vedere se la politica ne sarà all’altezza.