Così Patrick Cockburn racconta l’era della disintegrazione

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Così Patrick Cockburn racconta l’era della disintegrazione

11 Ottobre 2016

The Age of Jihad: Islamic State and the Great War for the Middle East è il libro fresco di stampa di Patrick Cockburn, grande giornalista britannico che in questi due decenni ha seguito guerre, conflitti e rivolte in Medio Oriente e in Nord Africa e per primo ha capito l’emergere dello Stato Islamico, a cui ha dedicato nel 2014 il pluripremiato The Rise of Islamic State

La novità di The Age of Jihad è la capacità di analisi dell’autore su Paesi che Cockburn conoce a fondo e per cui prova affetto. Un mondo disintegrato, dove città come Aleppo in Siria, Ramadi in Iraq, Taiz in Yemen, e Bengasi in Libia, una volta floride e splendide, sono ormai in macerie. A differenza dell’opinione comune, per Cockburn l’Isis non è nata in Siria sulla scia delle Primavere arabe, ma in Iraq, dove ha trovato il brodo in cui svilupparsi e organizzarsi, prima di crescere fino al punto di minacciare l’intera regione.

Cockburn avverte che in “The Age of Jiad” non ci sono situazioni in bianco e nero, buoni contro il male, tiranni spregevoli contro un popolo risorto come in una scena de Les Misérables. Attualmente tra il Pakistan e la Nigeria sono in corso almeno sette guerre: in Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Libia, Somalia e Sud Sudan. Ciò che accade in Medio Oriente e in Africa, per Cockburn, è il risultato della miopia della NATO e dei generali americani, che hanno distrutto gli stati nazionali nati dalla decolonizzazione, spesso in mano ad autocrati come Saddam Hussein, credendo che sarebbero nate democrazie e fiorito il libero mercato.

Tutti i conflitti in corso hanno in comune la caratteristica di essere infiniti, non producono mai vincitori e vinti definitivi (l’Afghanistan è  in guerra dal 1979 e la Somalia dal 1991) e incrementano lo smembramento e la divisione di popoli e territori. Per Cockburn gli americani combattono ancora come se stessero combattendo contro la Russia sovietica, non hanno capito che nella maggior parte di questi paesi, dove l’Islam è la religione dominante, la Jihad, al Qaeda, i talebani e l’Isis sono gli unici veicoli disponibili per un violento cambio di paradigma.

Soprattutto non hanno capito che la distruzione dei partiti socialisti e nazionalisti post-decolonizzazione, quelli dei vari Saddam Hussein, ha condotto al ritorno all’identità religiosa, etnica, tribale, e prodotto movimenti il cui obiettivo è controllare il proprio territorio, escludendo tutte le minoranze, che vengono uccise o perseguitate.

Il fallimento della guerra in Iraq coincide con la disintegrazione dell’esercito iracheno avvenuta nel 2014, quando le truppe di Baghdad sono fuggite, sbarazzandosi di armi e divise, nel Nord Iraq di fronte a Isis e hanno giustificato la fuga ridendo: “Morire per al-Maliki? Mai?”. La diffusione del libero mercato in paesi come l’Iraq e la Siria, che non erano democrazie, ha prodotto grande povertà nelle campagne, nelle periferie delle città, e la nascita di plutocrati locali, che esibiscono yacht e beni di lusso occidentali, e questo è senz’altro un grande regalo a Isis che offre uno stato sociale “attraente” di fronte alla fame e alla miseria.

Queste guerre continue e infinite, per il grande giornalista britannico, sono il segno della somalizzazione del Medio Oriente e dell’Africa, da cui ancora non si capisce come sarà possibile uscire. Il processo in atto in Medio Oriente e in Africa, la fine dei partiti tradizionali, non riguarda solo il vicino e il lontano Oriente.

Per Cockburn stiamo vivendo l’età della disintegrazione. Anche l’Europa sta vivendo il declino dei partiti tradizionali, socialisti e liberali. Per Cockburn questo è il mondo di Brexit, stiamo assistendo a un processo di frammentazione del pianeta, che fino a pochi anni fa politici e ideologi erano convinti si sarebbe rapidamente unificato all’insegna della globalizzazione. Stiamo entrando in un’età di instabilità, come si vede in Europa, dove dopo Brexit non si parla più di integrazione, ma di come prevenire la disintegrazione dell’Unione europea. 

Negli Stati Uniti la globalizzazione ha prodotto il fenomeno Trump. Anche se Trump non diventerà presidente, ha messo in moto idee che non finiranno a novembre. Per Cockburn gli Stati Uniti hanno subito sconfitte militari, sono ancora una superpotenza, anche se non più potente come prima. Gli Stati Uniti credono ancora, insieme agli alleati locali, di potersi sbarazzare dei governi non graditi, ma questo non è sempre facile, come appunto accade in Siria. 

Stranamente non si capisce come la fine degli stati nazionali e laici arabi abbia prodotto una tragedia per la pace nel modo e inaugurato l’età della Jihad: di peggio non si poteva immaginare. Se consideriamo che questa tragedia infinita è iniziata nel 2001, perché 19 fanatici (soprattutto sauditi) hanno dirottato un paio di aerei dell’American Airlines, non possiamo non immaginare, conclude Cockburn, il sorriso di Bin Laden nella tomba in fondo al mare.