Così Romney potrà battere Obama nella corsa alla Casa Bianca

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Così Romney potrà battere Obama nella corsa alla Casa Bianca

17 Aprile 2012

In un’elezione americana focalizzata su un’economia in pessimo stato e alta disoccupazione, è convinzione diffusa che la politica estera sia una delle poche punti forti di Barack Obama. Ma il presidente è sorprendentemente vulnerabile in quest’ambito. I Repubblicani che guidano la lista del partito possono attaccarlo in quel che Obama considera erroneamente il suo punto di forza principale, traducendo in messaggi elettorali e azioni le critiche che dal centro-destra vengono mosse alla sua politica estera. Ecco come lo si potrebbe battere.

In primis, il candidato Repubblicano dovrebbe adottare un tono fiducioso e nazionalista, enfatizzando l’eccezionalismo americano, esprimendo orgoglio nel ruolo statunitense come forza per il bene nel mondo e sostenendo un’America nuovamente rispettata (e in alcune aree, temuta) come potenza mondiale preminente. Obama agisce come se vedesse negli Stati Uniti un gigante pieno di difetti, un errore che gli elettori hanno già avvertito. Dopo tutto, questo è il presidente che ha detto “credo nella superiorità dell’America, per quanto sospetti che gli inglesi credano nella superiorità dell’Inghilterra e i Greci nella superiorità della Grecia”. Gli elettori hanno anche percepito che [Obama] è soddisfatto di gestire il declino degli Stati Uniti, portandoli a una condizione in cui l’America è solo uno Stato tra tanti. Così come ha dichiarato, la sua “è una leadership americana che riconosce i propri limiti”.

Il candidato Repubblicano dovrebbe utilizzare le stesse parole e azioni usate dal presidente per presentadolo come ingenuo e debole nelle questioni di politica estera. Le promesse non mantenute da Obama, le opportunità perse e le mutevoli posizioni su questo o quella politica dicono che [il presidente] non sia sufficientemente informato e in una situazione troppo difficile per lui. Per esempio, prima di essere eletto, ha promesso di incontrare i leader di Cuba, Iran, Corea del Nord, Siria e Venezuela “senza precondizioni”. Non è accaduto nulla di tutto questo, solo una seria batosta all’immagine degli Stati Uniti come affidabile alleato. Nella campagna elettorale del 2008, l’allora candidato Obama sostenne anche che l’Iran era una “minuscola” nazione che non “poneva una seria minaccia”. Quanto sembra insensato ora.

Allo stesso tempo, il candidato Repubblicano non dovrebbe esitare a mostrare gli ambiti ove Obama ha lasciato fortemente invariata le politiche del suo predecessore. Obama si troverà a disagio se il candidato si congratulerà con lui per aver applicato la strategia del surge in Afghanistan, permettendo l’uso esteso di droni, cambiando idea sul trattamento riservato terroristi detenuti, e rinnovando il Patriot Act dopo averlo dapprima condannato come una “legge mal scritta e pericolosa”. Tali complimenti darebbero al candidato Repubblicano grandi possibilità di criticare i numerosi insuccessi di Obama – non solo la sua proposta di solidarietà verso i regimi tirannici di Iran, Corea del Nord e Venezuela, ma anche il disastroso “reset” dei rapporti con la Russia, la cattiva gestione delle relazioni con il Pakistan, la politicizzazione dei calendari di ritiro delle truppe dall’Iraq e dall’Afghanistan, e l’indifferenza mostrata verso alleati storici quali Nato, Canada e Messico, così come di potenze che si stanno emergendo come l’India.

Obama riconosce di essere percepito come “freddo e distante”, e il candidato Repubblicano potrebbe insistere su questo punto per renderlo più evidente. Il presidente ha pochi validi amici tra le nazioni estere (tranne, ovviamente, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, come ha sostenuto a Fareed Zakaria sul settimanale "Time"). Il candidato Repubblicano dovrebbe criticare Obama per non aver compreso che la partecipazione in prima persona del presidente degli Stati Uniti è fondamentale per una leadership mondiale efficace. La mancanza di contatti regolari e confidenziali con il primo ministro dell’Iraq Nouri al-Maliki e con il presidente dell’Afghanistan Hamid Karzai – che ha distrutto le relazioni con quelli che un tempo erano alleati dell’America, è il più sconvolgente, inspiegabile esempio del passivo approccio di questo presidente. 

Poichè la campagna elettorale invernale dev’essere dedicata a promuovere la proposta Repubblicana su lavoro ed economia, il candidato del partito Repubblicano dovrebbe condividere la sua estesa visione sulla politica estera al più tardi entro i primi giorni d’estate. Dare agli elettori un’idea di dove si vuole portare la nazione sarebbe importante per rinsaldare la sua immagine come quella di un leader degno dell’Ufficio Ovale. Proiettare solo l’immagine giusta, non basta.

Il candidato Repubblicano dovrà affrontare almeno quattro aree di importanza vitale. La più importante è la lotta che definirà l’arco di questo secolo: quella al terrorismo islamico radicale. Dovrebbe portare avanti l’idea che la vittoria deve essere un obiettivo nazionale per l’America, non la semplice ricerca a “delegittimizare l’uso del terrorismo e isolare quelli che lo sostengono”, come annunciato da Obama nel Maggio 2010 nella sua National Security Strategy (la Strategia sulla Sicurezza Nazionale, ndt.). Come durante la Guerra Fredda, la vittoria richiederà un prolungato coinvolgimento degli Stati Uniti e la volontà di utilizzare tutti gli strumenti di influenza – dalla diplomazia ai legami economici, dagli sforzi dei servizi segreti all’azione militare.

In secondo luogo, il candidato Repubblicano dovrà condannare la precipitosa diminuzione delle forze in Afghanistan e il profondo e pericoloso taglio alle spese alla Difesa operata dalla sua amministrazione. Entrambe queste politiche sono guardate con scetticismo dal vertice militare: la prima incoraggia gli avversari dell’America e scoraggia i suoi alleati; il secondo causa profonda preoccupazione ai veterani e agli altri americani che dubitano dell’impegno di Obama per i militari.

Terzo, il candidato Repubblicano dovrebbe concentrarsi sui pericoli degli Stati canaglia, in particolare Iran e Corea del Nord. L’imminente terzo anniversario dalle elezioni presidenziali iraniane rubate nel 2009 è un momento particolarmente propizio per il candidato Repubblicano per incontrare gli esuli iraniani e rilasciare un importante discorso incentrato sulle debolezze e le ingenuità di Obama nei rapporti con queste potenze bellicose. In parte a causa della mala gestione della minaccia iraniana, Obama ha perso molto del supporto economico e politico di cui godeva presso la comunità ebraica americana. Il suo approccio su Israele va presentato come ugualmente debole e inaffidabile. Il candidato Repubblicano dovrà mettere in chiaro la minaccia esistenziale che Israele deve affrontare e posta da un Iran in possesso di armi nucleari – non solo perchè porterebbe a un miglioramente della politica, ma anche perchè ridurrebbe il sostegno elettorale di cui gode il presidente nel blocco di elettori chiave collocato negli Stati contesi di Florida, Michigan, Ohio e Pennsylvania.

La quarta linea di attacco dovrebbe essere sulla fragile economia dell’America e su come rimetterla sul binario giusto. Molti elettori pensano che la gestione dell’economia da parte di Obama sia stata inconsistente e addirittura controproducente. Diventa imperativo, dunque, per il candidato Repubblicano portare avanti questa idea, per promuovere gli scambi e favorire un interesse economico maggiore da parte del panorama internazionale. Il fallimento di Obama nell’eguagliare gli altri Stati nell’apertura aggressiva di mercati per le esportazioni e il lavoro possono essere legati alle sue responsabilità sull’alto tasso di disoccupazione interno e su una ripresa debole. 

Queste sono le motivazioni per le quali Obama ha fallito nel diventare un forte leader internazionale, e il candidato repubblicano deve rafforzare questo messaggio – in cui la gran parte degli americani già crede. La politica estera è una debolezza di questo presidente, non un punto di forza. 

Tratto da Foreign Policy

Traduzione di Matteo Lapenna