‘Costituente per i beni comuni’, l’ennesimo specchietto per le allodole
15 Giugno 2012
Recentemente Antonio Bassolino ha chiamato Luigi de Magistris “Egogistris”, evidenziandone l’egocentrismo. Alessandro Iovino, invece, ha scritto un libro dal titolo “Demagogistris” ritenendo che, almeno fino a questo momento, alle parole e alle promesse del Sindaco di Napoli siano seguiti ben pochi fatti: demagogia fine a se stessa, dunque. In effetti la situazione della città di Napoli non sembra essere di molto migliorata, nonostante i continui proclami.
Un punto che sicuramente merita di essere approfondito è quello riguardante il tanto decantato “Laboratorio Napoli. Costituente per i beni comuni”. Tale invenzione istituzionale ha come scopo, così come si legge nel Regolamento approvato con delibera del Consiglio comunale n. 8 del 18/04/2012 quello di “tutelare i beni materiali e immateriali di appartenenza collettiva e sociale che sono garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini. Tale obiettivo è realizzato attraverso la partecipazione dei cittadini”.
L’approvazione del regolamento in questione, che istituisce come organi della Costituente l’Assemblea e le Consulte tematiche, è stato salutato come una sorte di svolta storica, quasi una palingenesi sociale, un’uscita dei napoletani dallo stato di minorità, a voler parafrasare Kant. Uno studio attento del regolamento in questione, invece, dimostra che le cose non stanno così.
Al di là della retorica e delle espressioni roboanti di partecipazione e coinvolgimento, sembra proprio che la funzione del Laboratorio Napoli sia puramente ornamentale. Per quanto riguarda l’Assemblea, a norma dell’articolo 4 del Regolamento “è organo propositivo, consultivo e di espressione delle istanze partecipative della cittadinanza e in essa il cittadino, singolarmente o in forma aggregata, è chiamato a manifestare direttamente le sue idee per la Città di Napoli. Dell’Assemblea potranno entrare a far parte i residenti “ivi compresi i migranti” e gli immancabili centri sociali.
Nonostante sembri ispirata al principio di massima inclusività e di massima partecipazione, basta proseguire nella lettura del regolamento per capire che così non è. L’Assemblea, infatti, sempre in base all’articolo 4 del regolamento “si riunisce in via ordinaria ogni centottanta giorni, su convocazione del sindaco o del presidente del consiglio comunale o dell’assessore competente per i beni comuni, previa reciproca informativa”. È fin troppo facile capire che vi è un diretto collegamento fra la partecipazione della cittadinanza e la giunta. Tutto il regolamento è basato sul legame tra organi monocratici (esecutivi e non) e la cittadinanza.
Infatti, l’assemblea si riunisce su stimolo o del sindaco o del presidente del consiglio comunale o dell’assessore competente per i beni comuni. Solo in via straordinaria su convocazione di organi collegiali. Anche l’ordine del giorno è stabilito sulla base delle indicazioni pervenute dalle Consulte, dal sindaco su proposta dell’assessore per i beni comuni, del presidente del consiglio comunale sentita la conferenza dei capigruppo o di una commissione consiliare all’unanimità. Insomma, sembra abbastanza evidente che tale Assemblea, nonostante le buone intenzioni, sia uno strumento fortemente influenzato se non addirittura controllato dagli organi monocratici (esecutivi e non) espressione della maggioranza. Cioè di De Magistris.
Per ciò che attiene, invece, le Consulte tematiche esse sono sei, ciascuna competente per una diversa macroarea individuata dal regolamento all’articolo 5: si va dai beni comuni alle politiche sociali; dal diritto all’istruzione, all’ambiente e così via. Le Consulte svolgono le proprie attività in armonia e in raccordo con le Consulte delle municipalità. Anche ad esse possono iscriversi i residenti “ivi compresi i migranti” e, ovviamente, i centri sociali e le reti operanti sul territorio cittadino “che si rispecchiano nei valori della Costituzione Italiana”. Così come per l’Assemblea, anche le Consulte sono convocate però dagli assessori competenti per le macroaree di competenza, in questo caso sentiti il presidente del consiglio comunale e i presidenti delle commissioni consiliari competenti.
E quali saranno gli effetti delle attività e delle funzioni delle Consulte? In base all’articolo 11 del regolamento la giunta per ogni atto inerente l’individuazione, la definizione, la tutela e la gestione dei beni comuni nonché per l’accesso ad essi, dovrà “prendere in considerazione i documenti approvati dalle Consulte”. Qualora la giunta comunale ritenga di non dovere o non potere tener conto delle proposte provenienti da tali organismi dovrà illustrarne le motivazioni attraverso l’assessore competente nella prima seduta utile della consulta proponente. Ma quali sono le conseguenze dell’omessa motivazione? Ovviamente nessuna. La giunta non è obbligata ad attendere il pronunciamento delle Consulte nemmeno sui beni comuni.
Insomma, e senza volersi addentrare ulteriormente in dettagli tecnici, sembra che tale regolamento, presentato alla pubblica opinione come una sorta di rivoluzione democratica, non sia altro che un’operazione mediatica che, inoltre, da una parte mira ad un rafforzamento delle scelte di vertice e, dall’altro, ad ingenerare la convinzione che le scelte di governo siano state prese in maniera partecipata.