Crac Etruria, stipendi e consulenze nel mirino
21 Marzo 2016
di redazione
La Procura di Arezzo procede spedita nell’inchiesta sulla bancarotta di Banca Etruria che ha fatto finire nel registro degli indagati i quindici componenti del consiglio di amministrazione in carica prima del commissariamento deciso nel febbraio 2015, guidato dal presidente Lorenzo Rosi e dai suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro per le Riforme Maria Elena.
La Procura esamina le contestazioni contenute nella dichiarazione di insolvenza del tribunale e nella relazione degli ispettori di Bankitalia, concentrandosi su tre filoni: gli esborsi per gli altri «stipendi d’oro»; le consulenze elargite; i finanziamenti concessi a società che erano in conflitto di interessi con gli stessi amministratori.
La convinzione è che queste operazioni siano state autorizzate nonostante fosse evidente che avrebbero portato l’istituto al fallimento vista la situazione patrimoniale già drammatica. Adesso la decisione adesso spetta al gip. La procura di Arezzo, che accusa l’ultimo consiglio di amministrazione dell’ex Banca Etruria di concorso in bancarotta con Luca Bronchi, ha già chiesto il sequestro per la somma equivalente alla liquidazione concessa all’ex dg nel giugno del 2014. Un milione e 200 mila euro che finirebbero nelle casse della procedura fallimentare gestita da Giuseppe Santoni.
Lo stesso cda, adesso sotto accusa, ha deliberato altre spese contrarie alle politiche aziendali, mentre l’ex Banca Etruria andava incontro al dissesto. Le verifiche della Finanza, riguardano l’intero operato del consiglio: dagli stipendi, alle consulenze, fino ai crediti concessi alle imprese amiche, e non solo quelli accesi in conflitto di interesse non dichiarato dai componenti del cda, che hanno già portato alle accuse per l’ex presidente Lorenzo Rosi e l’ex consigliere Lorenzo Nataloni. La procura punta a recuperare i soldi che hanno portato al dissesto dell’ex Bpel.