Cresce la minaccia di Al Qaeda in Occidente
07 Novembre 2007
Gli attentati di New York, Madrid e
Londra – così come le stragi di Sharm El Sheik, Beslan e quelle quotidiane in
Iraq e Afghanistan – hanno pericolosamente abituato tutti noi a convivere con
il terrorismo islamico. Un tempo eventi d’assoluta centralità, oggi gli
attentati non fanno più notizia: un’autobomba deve uccidere almeno cinquanta
iracheni perché i quotidiani europei ne diano notizia, relegando il tutto in un
trafiletto. E soltanto un attentato in territorio occidentale, capace di
palesare la morte a pochi chilometri da casa, riesce ormai a tenere vivo il
senso del pericolo che quotidianamente incombe su Europa e Stati Uniti.
L’abitudine all’attentato porta con sé
anche quella ad Al Qaeda. Sei anni fa, un messaggio audio o video di Bin Laden
e Al Zawahiri era in grado di catalizzare l’attenzione mondiale: edizioni
straordinarie, titoli di apertura, tutti a tremare di fronte alle minacce dello
Sceicco del terrore. Oggi, invece, i messaggi di Al Zawahiri non fanno più
notizia. Quasi stancano: sempre la stessa solfa, le stesse minacce, le stesse
rivendicazioni di un folle. Bin Laden e Al Zawahiri, nel 2007, sono ormai due
personaggi “normali”, quasi politici, con i quali fare i conti al
pari di altri (più o meno folli) capi di Stato.
Ma ci sono delle questioni che non si
possono dimenticare. I soldati italiani sono in Afghanistan proprio a
combattere Al Qaeda, coperta e sostenuta dal movimento Taliban. E sempre Al Qaeda
è dietro a gran parte del sangue che scorre quotidianamente per le vie di
Baghdad. L’organizzazione nata dall’unione dei soldi di Bin Laden e
dell’esperienza di Zawahiri è ancora viva, e ogni giorno lotta per inseguire
l’originario progetto di un califfato islamico che abbracci tutte le terre
emerse. Sulle pagine dell’Occidentale, Hamza Boccolini ricordava qualche
giorno fa come l’internazionale del terrore si trovi di fronte a crescenti
difficoltà sul campo di battaglia iracheno: da qui l’ultimo messaggio audio
attribuito a Osama Bin Laden, nel tentativo di compattare le fila per scacciare
l’odiato nemico americano dalle terre dell’Islam. Ma se in Iraq e Afghanistan i
movimenti legati ad Al Qaeda sono costantemente monitorati dagli
angloamericani, bisogna fare attenzione a non scordare il fronte interno: il cuore
dell’Occidente, dove Al Qaeda prospera all’ombra delle moschee.
Anche l’Italia, nel suo piccolo, ha
avuto a che fare in questi anni con i seguaci di Bin Laden. Imam dediti
all’apologia – e al sostegno – del terrorismo internazionale, personaggi
scomodi passati da viale Jenner e via fino alla notizia di ieri: una vera e
propria “fabbrica di kamikaze” all’ombra della Madonnina, dedita
all’arruolamento di giovani volenterosi da mandare in Iraq e Afghanistan.
Diciassette membri della banda sono oggi, fortunatamente, dietro alle sbarre:
ma il lavoro compiuto egregiamente dai Ros, tanto a Milano quanto a Reggio
Emilia, deve essere un monito per tutti. Primo: Al Qaeda non è solo in Medio
Oriente, ma può trovarsi anche a pochi passi da noi (sotto forme diverse,
certo: ma pur sempre Bin Laden è il maestro ispiratore). Secondo: si può
combattere militarmente Al Qaeda, ma il messaggio è ormai filtrato e ci sarà
sempre qualcuno, indottrinato per bene, pronto a rinverdire le fila del
terrorismo.
Osama e Zawahiri, del resto, possono
contare su una rete mediatica sterminata: al centro di tutto, internet. Un
esempio: se Bin Laden chiama i Fratelli Mussulmani a compattarsi, in seguito a
una flessione nella “resistenza” irachena e afgana, ecco che pochi
giorni dopo il suo braccio destro egiziano può rilasciare un vero e proprio
comunicato stampa in mondovisione, annunciando di aver “scritturato”
il gruppo islamico militante in Libia nella rete del terrore. Le potenzialità
degli audiomessaggi non devono essere sottovalutate: se hanno stancato noi
occidentali, infatti, restano sempre manna dal cielo per coloro che cercano uno
sprone ad intraprendere l’attività terroristica. E non è un caso, come è
successo a Milano, che nelle case dei sospetti terroristi vengano sempre
ritrovati materiali propagandistici inneggianti al Jihad, così come
registrazioni su audiocassetta dei proclami di Bin Laden.
Il vero pericolo, a sei anni dall’11
settembre, è sempre di più l’indottrinamento al terrorismo in territorio
europeo: vere e proprie scuole della morte, pronte a sorgere dove meno ce
l’aspettiamo. E in Europa, a farne maggiormente le spese, sembra essere quella
Gran Bretagna che in occasione degli attentati di Londra fece i conti con la
rabbia di immigrati nati e cresciuti sul suo territorio. L’Inghilterra non ha
dimenticato, e ancora oggi sa bene che il pericolo maggiore non viene tanto
dagli aerei di linea quanto piuttosto dai suoi stessi figli. Così, allora, si
spiega il grido d’allarme lanciato martedì dal capo del M15, la sezione
dell’intelligence militare inglese per la sicurezza e il controspionaggio.
Jonathan Evans, al suo primo discorso
pubblico, non ha lasciato intravedere nulla di buono: tanto per il suo paese,
quanto per l’Europa. Il pericolo targato Al Qaeda, secondo l’M15, è il più
immediato ed acuto che l’intelligence si sia trovata ad affrontare (in tempo di
pace) nei suoi 98 anni di storia. E poi, l’affondo: “I terroristi stanno
metodicamente e intenzionalmente mirando a giovani e bambini in questo
paese” ha detto Evans, spiegando che “stanno radicalizzando,
indottrinando e crescendo persone giovani e vulnerabili per spingerli a compiere
attentati terroristici”. Non basta più, insomma, guardarsi da quegli
immigrati che si credevano completamente integrati nella Londra multietnica:
ora l’intelligence inglese si trova a fronteggiare persino dei bambini.
L’allarme dell’M15 è suffragato dai
fatti: “Quest’anno abbiamo visto individui di 15 o 16 anni implicati in
attività relative al terrorismo” ha detto Evans. La notizia non deve
stupire: non sarà certo il rispetto per i più piccoli a fermare i piani di Al
Qaeda. Il premio Pulitzer Lawrence Wright, in “Le altissime torri”,
rivela a questo proposito una storia inquietante. Nei primi anni novanta, allo
scopo di mettere le mani su Zawahiri, i servizi segreti del presidente egiziano
Mubarak si servirono di alcuni bambini. Caso volle, però, che Zawahiri li
scoprì: nonostante si trovassero nella posizione di spie in seguito ad un
tremendo ricatto del governo egiziano (che li drogò e sodomizzò, filmando il
tutto), Zawahiri li fece fucilare e “per essere certo che la lezione
ottenesse lo scopo, filmò le confessioni e le esecuzioni, diffondendo poi il
nastro perché servisse di esempio a chiunque potesse venir tentato di tradire
l’organizzazione”.
E a confortare, infine, le parole del
nuovo direttore del controspionaggio inglese ci sono anche numeri precisi: se
nel novembre 2006 il MI5 teneva sotto controllo 1600 sospetti implicati in una
trentina di progetti terroristici, oggi i sospetti sono 2000. Un aumento del
pericolo indirettamente proporzionale a quello iracheno e afgano, dove Al Qaeda
si trova sotto il fuoco incrociato della coalizione internazionale. Ulteriore
indizio, se ancora ve ne fosse bisogno, che è ancora una volta il territorio
occidentale ad essere maggiormente esposto ai pericoli rappresentati da Bin
Laden e dalla cricca del terrore.